“Il figlio del direttore” è un romanzo di Piersandro Pallavicini pubblicato da Mondadori a gennaio 2023. Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea ricevuta in omaggio.
Trama de Il figlio del direttore
Cosa dire di questo romanzo? Che è una lettura piacevole, ma non memorabile, che la trama è più invitante dello sviluppo narrativo, che è ironico, ma di una ironia continua che a volte stona un po’.
Michelangelo Borromeo è stato l’unico figlio di un vulcanico, despota, volgare e arrogante padre, bancario dedito alla carriera, ormai morto da un paio d’anni. Una sera il cellulare di Michelangelo squilla, sul display appare il nome del padre defunto. Nessuna chiamata dall’aldilà, nessuno mistero, si scoprirà che dietro all’accaduto c’è tutta una storia di tradimenti convenzionali e non, di invidie, di sostituzioni emotive.
Recensione
La narrazione de “Il figlio del direttore” è un alternarsi di presente pandemico – tra Pavia e la Costa Azzurra – e i ricordi di un passato che mostra il rapporto tra Michelangelo (Michel) e il padre Luca (Luchino). Un uomo affascinante come Marcello Mastroianni, ma meschino, sordido, distruttivo. Il tutto raccontato in soggettiva da un sessantenne timido, introverso, la cui personalità, probabilmente, è stata schiacciata da quel padre ingombrante e subdolo.
Solo che Michel affronta tutta la sua vita da benestante con ironia, che a me è sembrata somigliasse molto alla superficialità. Un chimico misantropo e ateo che ha preferito una libreria al laboratorio, e per questo dovrebbe starmi simpatico, ma non ci riesce. Arriva come una macchietta, una caricatura. E lo sono anche tutti i personaggi che gli ruotano attorno: il misterioso Gualtiero e la moglie Wendy identica a Shelley Duvall, Kristen la nana danese, il Mario soprannominato “Pirlandello” squattrinato regista underground di paese.
Il tema affrontato è importante, ma è il modo in cui è stato trattato a lasciarmi perplessa. Ci sono delle riflessioni interessanti sul rapporto – tossico, in questo caso – tra padre e figlio, considerazioni non banali sulla morte, ma, come dicevo all’inizio, la leggerezza di Michel e del suo intorno ha preso il sopravvento, e la sua indolenza, la sua ignavia, le sue gaffes, il suo incurvarsi e rattrappirsi di continuo rendono tutto simile ad una commedia. Probabilmente era questo l’intento dell’autore, però, ecco, non ha fatto breccia nel mio cuore.
Salvo, però, il finale, dove troviamo un Michel più aperto al prossimo, in un gioco di paradossi tra passato e presente.
Chiara Carnio