“Il piatto piange” – Piero Chiara


Voto: / 5

Nel marzo 1962 Arnoldo Mondadori Editore pubblicò un romanzo definendolo con “avventure boccaccesche” e “ozi logoranti nel delirio della provincia”. Si trattava de “Il piatto piange”, esordio nella narrativa di Piero Chiara, un cinquantenne che aveva con fatica finito le scuole medie e che nel giro di venti anni diventò uno scrittore da oltre 4 milioni di copie.


La trama di Il piatto piange

Le vicende si svolgono a Luino, città che riposa lungo il Lago Maggiore e che ha dato i natali a Piero Chiara e a Vittorio Sereni (ricordiamo questo secondo nome, ci servirà). La città esiste, ma l’autore si sente di dichiarare, alla fine del libro, di non cercarla “nell’elenco dei Comuni d’Italia, ma in quell’altra ideale geografia dove si trovano tutti i luoghi immaginari nei quali si svolge la favola della vita.”

Conosciamo i protagonisti intorno a un tavolo da gioco. Di loro seguiamo, nel corso del libro, piccole avventure con le donne e debolezze che riguardano l’azzardo, furberie varie e scappatoie per vivere meglio.

Si parla di un periodo in cui ci si cura le ferite dalla prima guerra mondiale e si è già in odore della seconda. Vengono narrate avventure amorose dentro e fuori le case di tolleranza. Ai tempi della narrazione erano ancora aperte, ma ai tempi della pubblicazione erano appena state chiuse dalla legge Merlin.

Vediamo alcuni strascichi della guerra, forse quelli comprensibili a uno spettatore ragazzo (Chiara è del 1913). Per esempio conosciamo l’ex soldato sotto choc, che periodicamente rivive in piazza qualche attacco, imita il lancio di una bomba a mano e poi si ricompone come niente fosse successo e se ne va “verso qualche osteria”. Un quadretto che mi si è ripresentato più volte alla mente come se lo avessi visto, eppure descritto in pochissime, efficaci e asciutte pennellate.

Recensione

Qualcuno mi aveva presentato questo libro come simile ai film “Amici miei”. In realtà io l’ho trovato meno goliardico del film e più sensibile a qualcosa che non può tornare più. Lo stesso sedersi intorno al tavolo da gioco non viene descritto come patologia o come scorribanda, ma è metafora di come gestiamo la vita: tentando delle strategie o barando.

“Si cominciava a capire che le carte erano un rimedio, uno scampo a un’inquietudine che premeva sempre più d’intorno e un giorno ci avrebbe presi nel suo giro”.

La matrice autobiografica di questo romanzo si esprime anche con un io narrante che ogni tanto emerge, sempre come testimone e mai come giudice.

Ecco, nulla in “Il piatto piange” sa di giudizio o satira. Il tempo narrato viene preso con rispetto e anche le scene più esilaranti – e ce ne sono tante – sono raccontate con raffinatezza e serietà. Sei tu che muori dal ridere mentre ti immagini il seduttore nudo che spalanca la finestra con “uno sbadiglio asinino” e si trova in una delle situazioni più imbarazzanti della sua vita, o mentre lo stesso, in un’altra occasione, si salva la vita trovando la frase giusta al momento giusto.

Da sinistra, il poeta Vittorio Sereni e lo scrittore Piero Chiara. (credits: rmfonline.it)

Fu l’ex compagno delle elementari Vittorio Sereni, poeta e scrittore, a spingere Piero Chiara a raccogliere in un romanzo alcuni racconti della sua giovinezza che aveva prima narrato in occasione di una cena e poi pubblicato sul “Caffè letterario”.

Fu lo stesso Vittorio Sereni ad accogliere il romanzo nella collana sperimentale Mondadori “Tornasole”, che aveva appena avviato insieme al raffinato critico letterario Niccolò Gallo e che contò poi altri nomi importanti italiani come i poeti Andrea Zanzotto e Maria Luisa Spaziani.

Naturalmente gli abitanti veri di Luino discussero focosamente il romanzo, specie quando, a torto o a ragione, vi si riconoscevano; la critica invece lo accolse favorevolmente perché vi riscontrò il racconto fedele di abitudini e mentalità del Ventennio.

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