“Il saldatore del Vajont” – Antonio G. Bortoluzzi


Voto: 5 stelle / 5

“Il saldatore del Vajont”, scritto da Antonio Giacomo Bortoluzzi, è uscito per Marsilio nel 2023.
Un libro da leggere per non dimenticare il sangue innocente di chi ha pagato il proprio tributo alla modernizzazione e all’insensatezza umana.
Un libro da leggere per il rapporto uomo-ambiente che oggi, come non mai, necessita di cura e attenzione.

Trama de Il saldatore del Vajont

Un paesaggio impervio sulle montagne in provincia di Belluno venne scelto, in un progetto risalente al 1939, per costruire una grande opera, la centrale idroelettrica del Vajont. Negli anni 50 – 60 la diga nacque in un territorio che dava sostentamento a chi lo lavorava. Il 9 ottobre 1963 la forza di vento, acqua, fango e massi annientò paesi interi: milioni di metri cubi di roccia erano caduti nell’acqua.
L’autore, attraverso l’esperienza di una visita guidata alla centrale, ricostruisce i dettagli di natura tecnica dell’impianto, ripercorre il secolare lavoro degli abitanti prima della famigerata data e riporta alla memoria la morte di migliaia di persone.

Mi affaccio alla base della diga, osservo la stretta forra e, in fondo, la valle del Piave, ma è guardando in alto che rimango senza fiato: sopra di me si erge il più grande muro che potessi immaginare…La vita di chi ha vissuto il Vajont è costituita da un prima e un dopo. Qui, alla base della diga, nel mezzo di venti metri di calcestruzzo, non possono arrivare nemmeno le radiazioni di un’esplosione nucleare, ma la la voce dei racconti, quella sì.

Recensione

Il saldatore del Vajont è l’autore stesso. In un fluire, uno spostarsi dal presente – la visita alla centrale – al passato, con la tragedia paventata e avvenuta, il libro si fa cronaca di vita.
Se le varie informazioni tecniche hanno fermato il ritmo della mia lettura, posso attribuirlo solo alla mia incompetenza.
L’avvicendarsi dei vari passaggi temporali è accompagnato con maestria, le varie testimonianze e il sentire dell’autore sono sostenuti da una passione dolorosa e prorompente.

Quella terra, vera e propria benedizione, fonte di nutrimento per gli abitanti, ora è solo materiale rivoltato. Proprio sopra la via degli zattieri – i marinai di fiume – che portavano le imbarcazioni di tronchi cariche di prodotti dalle montagne alla laguna veneta si ritenne di edificare il paradiso dell’energia elettrica. Più si elevava il livello dell’acqua più si creavano scompensi nelle rocce ancorate alla montagna. Non servirono le denunce della giornalista Tina Merlin – fu processata ed assolta – che, sul quotidiano l’Unità, raccolse la rabbia della popolazione tanto da essere denunciata per diffusione di notizie false, capaci di turbare l’ordine pubblico.
In una notte del 1963 tutto precipitò provocando una devastazione immane: il materiale caduto nel fondo del lago con la veemenza di una bomba sospinse in alto acqua e materiale. Non rimase un filo d’erba nella piana sottostante, solo detriti. I soccorritori videro

qualcosa che è rimasto per molto tempo nei loro sogni: persone nude incastrate negli alberi in un orrido spettacolo perché sempre dagli alberi si erano colti frutti prelibati.

Non è solamente una tragedia localizzata quella del Vajont. Ne rischiamo le conseguenze ogni volta che il potere tracotante banalizza la saggezza, il buon senso. Ed ecco l’importanza di ricordare.

La memoria è come un lavoro, una specie di fragile costruzione che cammina sulle parole e sull’esempio delle persone. E come le persone teme il vento gelido degli anni che passano.

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