Incontro agli sgoccioli dell’estate

Un regalo alla fine dell’estate quella nuotata in mare, scelta dalla maggior parte dei turisti del viaggio organizzato, appena la motonave si è allontanata dalla piccola baia, protetta e racchiusa come un’alcova.
Qualcuno invece si è inoltrato lungo il sentiero tracciato sul versante dell’isola, visibile solo a tratti in mezzo alla vegetazione.
Accoccolata nella mia postazione – ho trovato rifugio nella parte incavata di uno scoglio a cui una pianta di leccio regala un’ombra generosa – adesso non ho bisogno di altro; anche il libro è stato scelto appositamente in modo da non incrinare con domande complesse la serenità di un momento tale. Nulla potrà disturbare i pensieri: saranno armoniosi e leggeri come suggeriscono i diamanti sparpagliati sulla superficie del mare, una riga perfetta.
Quasi nessuno ha optato per essere soltanto uno spettatore di fronte a tanta bellezza.
Quasi, appunto.

Il telefonino in mano per inquadrare uno scorcio, la vedo muoversi con cautela da uno scoglio all’altro: la concentrazione con cui cerca la giusta collocazione, assieme alla tentennante flessibilità, rivela l’accortezza nei movimenti di un corpo non giovanissimo su un terreno incerto.
A dir la verità, l’avevo già notata la sera prima al ristorante dell’albergo. Tra gli ospiti che accompagnavano parole con esagerata gestualità, risaltava la sua compostezza. Ricordo anzi che, quando ero andata al buffet, era arretrata lasciandomi passare, con un accenno di sorriso e la calma di chi abbia deciso di non tenere in gran considerazione il tempo.

Ora probabilmente si accorge della mia lettura intermittente – faccio vagare distrattamente lo sguardo distogliendolo dal libro – così si avvicina:
– Potrebbe farmi una foto?
Possibilmente inquadrando la baia.
Chiaramente non appartiene al mondo dei selfie.
Mi consegna il cellulare ed io, dubbiosa delle mie abilità di fotografa, cerco angolature diverse; quando le restituisco il telefono, mi ringrazia con lo stesso sorriso della sera precedente. Notando che cerca un posto dove sedersi, le indico uno scoglio vicino. Quindi chiudo il libro: un gesto eloquente a dimostrazione che le parole scritte possono attendere.

Iniziamo a chiacchierare, se in questo modo si può definire quel tipico tastare il terreno, senza vibrazioni e ancora guardingo, finché, quando capisco che lavora nella scuola, affiora di colpo un’affinità capace di sostenere un dialogo vero e proprio.
Sì, è un’ insegnante, ma da poco.
Come, da poco?
Indubbiamente trapela la mia perplessità: evidenti i capelli tendenti al brizzolato, le rughette attorno agli occhi.
Glielo chiedo: – Come mai da poco?
E così arrivano le parole che daranno un senso inaspettato alla superficiale, sgangherata e presuntuosa serenità immaginata per questa giornata.

Parecchio tempo prima aveva lasciato un altro lavoro per seguire la figlia ammalata. Per tanti anni lei ed il marito si erano sostenuti, all’esigenza alternati, nel loro ruolo di genitori, sempre in trincea tra visite, interventi, cure, speranze e ricadute. Solo un anno prima aveva iniziato ad insegnare: non un ripiego, ma una scelta. Una svolta nella sua vita, un mondo stimolante – e non ci sono dubbi, vista la luce nei suoi occhi – in un percorso scoperto e costruito insieme agli alunni.

Anche se la mia domanda rimane sospesa perché esiste un limite da non valicare, lei l’intuisce.
Sì, la figlia era morta un anno prima: proprio in questi giorni cade l’anniversario.
Dopo un momento di silenzio – dei secondi, un minuto? non ne ho percezione – prosegue.

C’è qualcosa di quieto e di solenne al tempo stesso, nel modo di prendere le pause, come se il silenzio serva a soppesare il fardello di ricordi, e nel far uscire le parole. Parole chiare, distillate. La voce è miele, ma i fatti percuotono come metallo sbattuto su una grondaia. Sta rispondendo a domande che mastico in silenzio; al di fuori sono un mare quieto ma, dentro, le onde si frastagliano prepotenti, mentre il mondo attorno, con la sua mescolanza di colori e di riflessi diviene un nulla che sembra infittirsi man mano che racconta. Sono vulnerabile, porosa. Mi sferza il racconto di anni di sofferenza, mi commuove la testimonianza del sostegno reciproco tra lei e suo marito che, in un’alternanza di appoggio concordata, ora è a casa per stare vicino all’altro figlio.
– Perché, sa, i figli che rimangono sono abbandonati due volte: dai fratelli e dai genitori. E poi bisogna recuperarli, andarli a cercare, stanarli da dove si sono rintanati per sopravvivere.
– Sono qui, piena di dolore e di pace.
– Ho scelto di partire, di ricordarla nelle cose che vivono, che vibrano e che splendono.

Ogni tanto gli occhi cambiano espressione, come se una nuvola di passaggio la stia proiettando indietro tra spine invisibili, là dove rimbomba l’eco dell’inesorabile flusso dei ricordi. Ma poi, repentinamente, lo sguardo puntato sulla baia, gli occhi addolciti, la bocca distesa, appare la tenacia della costruzione attorno ad un dolore immenso.
Ed eccola pronta a dispiegare le sue ali, anche se tagliuzzate: – Ho tanti progetti, voglio continuare ad insegnare, i ragazzi mi danno tanto, e poi voglio iscrivermi di nuovo all’università, magari beni culturali per non perdermi tutto ciò che c’è di bello.

Io, nel mio silenzio protratto, mi chiedo come si possa sopravvivere ad uno smembramento tale. Ammiro questa donna che col suo dolore dignitoso vuole addizionare, e vita, e luce ed esperienze: non è rimasta intrappolata in una sottrazione. E’ come gli elementi che rendono meraviglioso quest’angolo di terra: lo scoglio, stabile, sicuro, pur con i suoi graffi e le fratture irregolari; il leccio, sbeffeggiato dalle intemperie, dalla corteccia screpolata, ma con le radici abbarbicate alla vita. Ed è il mare, in questo momento sfavillante e quieto ma, avendoli già conosciuti, pronto ad accogliere gli assalti furibondi delle tempeste che arriveranno.

Nel frattempo la motonave si sta riavvicinando alla baia: richiama coloro i quali hanno goduto dell’abbraccio del mare e i camminatori che stanno già scendendo dalla costa dell’isola. Anche noi ci alziamo dagli scogli; mentre ci avviamo mi ringrazia per aver accolto le sue parole. Non dico nulla; luci e colori attorno a noi rimpiazzano bene le parole, inoltre troppo delicata la situazione per rivelarle che aver sfiorato un dolore altrui mi alimenta dell’essenziale, mi svuota dell’inutile. Cullo il pensiero di quella miriade di uomini e di donne che la vita ha travolto e ha saputo riassestare il piano inclinato dove avrebbe potuto precipitare.

La baia risplende, placida più che mai, anche se nel cielo sono apparse nuvole morbide, spumose, mentre ci dirigiamo silenziosamente verso la motonave.
Solo vicino agli scogli, qualche increspatura: onde quasi impercettibili che portano a flussi manciate di sabbia sui piedi, agli sgoccioli dell’estate benigne come carezze.

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