“La luna e i falò” – Cesare Pavese


Voto: 5 stelle / 5

“E’ il libro che mi portavo dietro da più tempo e che ho più goduto a scrivere, tanto che credo che per un pezzo, forse per sempre, non farò più altro.” Così scriveva Cesare Pavese riguardo al suo ultimo romanzo “La luna e i falò”, pubblicato nel 1950, pochi mesi prima del suo suicidio.

L’opera, considerata il capolavoro di Pavese, unisce le istanze realistiche del Novecento con una profonda componente lirica, simbolica e naturalistica. È, indubbiamente, uno dei capisaldi della narrativa italiana, consigliato a chi vuole approfondire la storia del Novecento, sia dal punto di vista letterario che storico, politico e sociale. Dello stesso autore abbiamo recensito anche “Lavorare stanca“.

Trama de La luna e i falò

Tra le colline delle Langhe piemontesi, tanto care all’autore, si dipanano i ricordi dell’io narrante, Anguilla, un orfanello adottato da una famiglia di contadini più per motivi economici che per affetto gratuito. Fuggito in America in cerca di fortuna, ritorna dopo diversi anni al suo paese d’origine per ritrovare se stesso e il suo passato. Qui incontra Nuto, suo più caro amico, che lo riporta nei luoghi della loro infanzia: la Gaminella, il podere dei suoi genitori adottivi e la fattoria della Mora, dove si trasferì a lavorare all’età di tredici anni e dove trascorse tutta la sua adolescenza, in compagnia di Nuto e delle tre “padroncine” Irene, Silvia e Santa.

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”

Il ritorno per Anguilla non sarà semplice. La povertà, l’irruzione della guerra e della lotta resistenziale hanno mutato completamente la vita e la società impresse nei suoi ricordi e ne segnano l’inevitabile distacco. La tragedia incombe, alimentata dalle frustrazioni e dalla miseria; in modi e tempi diversi travolgerà sia gli abitanti della Gaminella che della Mora. La strage compiuta dal Valino, i maltrattamenti subiti da Irene, la morte di Silvia in seguito ad un aborto e la tragica fine di Santa, processata e uccisa dai partigiani in quanto colpevole di passare informazioni ai fascisti, sono ferite laceranti nell’animo del protagonista e segnano drammaticamente un distacco sempre più forte tra lui e il suo passato

Recensione

La letteratura del secondo dopoguerra è legata spesso a ricordi sfocati di percorsi scolastici incerti. Talvolta svolta in maniera frettolosa, verso la primavera inoltrata del quinto anno delle superiori o trasformata in letture imposte controvoglia, corredate da riassunti scopiazzati, è impressa nelle nostre menti, spesso legata semplicemente a nomi e titoli, ma perlopiù sconosciuta. In età adulta, se si potesse prendere tra le mani e rileggere i classici della narrativa italiana, si potrebbe scoprire un nuovo approccio con la realtà e il nostro animo sarebbe arricchito da sensazioni nuove che toccano in profondità corde lontane.

E’ quello che succede rileggendo “La luna e i falò” di Cesare Pavese. Il tema centrale del romanzo è il ritorno, in una prospettiva che fonde la dimensione mitologica con l’esperienza del realismo e la profondità del simbolismo. Il viaggio di Anguilla alla ricerca delle proprie origini si rivela, però, un fallimento e lascia dietro di sé un velo di amarezza. L’irruzione della storia ha sconvolto il mondo legato ai ricordi della giovinezza del protagonista ed ha provocato in lui un senso di estraneità nei confronti di ciò che lo circonda.

Analisi

“La luna e i falò” è diviso in trentadue brevi capitoli, in cui si alternano le scene del passato e la narrazione di un presente ferito, lacerato, ma pur sempre il risultato di un percorso ciclico che torna a far rivivere luoghi e situazioni. Il ritorno di Anguilla rimanda ad altri viaggi ben noti alla storia della letteratura. Percorrendo i luoghi segnati dal dolore e dalla tragedia, Anguilla prende coscienza di sé e del fatto che le ragioni della storia hanno sopraffatto la cultura locale e la civiltà contadina, segnandole per sempre.

La vita della natura, caratterizzata da ritualità e cicli immutabili, viene contrapposta così al corso della storia, in particolare alla guerra e alla Resistenza che, scatenandosi con violenza improvvisa e brutale, lasciano dietro di sé solo lacerazioni e sofferenze.

Il titolo del romanzo rimanda a questo contrasto e si carica di significati simbolici. Il riferimento alla luna e ai falò ricorda la ciclicità della natura attraverso le stagioni e i fuochi periodici accesi dai contadini per fertilizzare i terreni, ma diventa anche emblema di morte e distruzione, alludendo all’incendio appiccato dal Valino e al tragico falò sul corpo di Santina, che chiuderà il racconto.

“Nuto, che non se n’era mai andato veramente, voleva ancora capire il mondo, cambiare le cose, rompere le stagioni. O forse no, credeva sempre nella luna. Ma io, che non credevo nella luna, sapevo che tutto sommato soltanto le stagioni contano, e le stagioni sono quelle che ti hanno fatto le ossa, che hai mangiato quand’eri ragazzo.”

Dal punto di vista stilistico si parla spesso di una dimensione antiletteraria dell’opera. Realismo e Simbolismo si fondono insieme, creando una vicenda ben radicata nel contesto storico del dopoguerra, ma al tempo stesso portatrice di un messaggio esistenziale più vasto. Gli elementi realistici si fondono con quelli lirici ed elegiaci. Da un lato si evidenziano gli aspetti colloquiali, soprattutto nei dialoghi, dall’altro la dimensione poetica si avverte principalmente nelle descrizioni paesaggistiche o nel ritmo cadenzato del monologo interiore iniziale.

“Magari è meglio così, meglio che tutto se ne vada in un falò d’erbe secche e che la gente ricominci.”

Il romanzo è indubbiamente una testimonianza drammatica del disagio intellettuale dell’autore e della triste constatazione che dalla violenza e dalle sopraffazioni non si possa fuggire, in quanto condizioni esistenziali imprescindibili.

Commenti