Capita, a volte: si trovano libri capaci di esprimere, e magari anche di confermare, le convinzioni sociali, politiche, culturali o d’altro tipo, che ci stanno a cuore. Di recente sono inciampato proprio in uno di questi libri. Lo ha scritto la giornalista Guia Soncini, secondo la quale l’Italia è “La Repubblica dei cuochi” (Bologna, Il Mulino, 2015).
Una repubblica fondata sulla cucina
Fin dal risvolto di copertina si capisce che aria tiri:
“Una volta si chiamava «far da mangiare»: era un’attività a conduzione familiare. Poi si cominciò a dire «cucinare», a chiamare il cibo «food» e i cuochi «chef». E fu distrutturato, e fu impiattato, e fu una religione con rituali dai nomi strani ma familiari anche ai miscredenti: il culto è così pervasivo che gli atei sanno a memoria la liturgia del «servito nel suo letto di». In televisione si spadella a tutte le ore, cerchiamo l’etichetta «biologico» come fosse un Graal, e se non conosci il pistacchio di Bronte non puoi avere una conversazione intellettualmente rispettabile. Come abbiamo fatto a ridurci così?”
Chi volesse darle torto, faticherebbe mica poco. Perché, se ci riflettiamo, sembra che in questo paese si pensi a fare due sole cose, almeno a giudicare dai palinsesti televisivi: cantare e cucinare. Salvataggio di locali che vanno a catafascio. Ricette proposte da cuochi e casalinghe. E molto altro ancora. Tanto che uno finisce per chiedersi: ma se tutti cucinano, chi mangia?
Per questo l’autrice arriva ad affermare:
“Poi venne l’era della gastrocrazia: diventammo una repubblica confessionale fondata sul culto dei cuochi”
Sette più uno
Guia Soncini sviluppa le proprie argomentazioni nello spazio di sette capitoli e un intermezzo. E lo fa con un linguaggio scorrevole e brillante, che non risparmia niente e nessuno.
Soprattutto, rimarca la differenza tra la cucina odierna e quella di una volta:
“Nel secolo scorso non era così. D’altra parte era il Novecento, un secolo in cui si faceva da mangiare. Ora si cucina. Non lo sentite – come suona più serio, più rispettabile, più sacro?
In principio fu il verbo, e il verbo era cucinare.”
Questo ha portato al centro della ribalta i cuochi. Gente di cui nemmeno si sospettava l’esistenza, a meno di non occuparsi del settore per mestiere oppure per passione. Secondo l’autrice
“Ci sono due tipi di cuochi famosi. Quelli famosi per come si mangia nei loro ristoranti, e quelli famosi perché stanno in tv.”
Ed è assolutamente vero. Tutto ciò, fra le altre cose, ha contribuito a generare un fenomeno che Guia Soncini definisce gastrofighettismo: consiste, se ho capito bene, nel posizionarsi culturalmente mentre ci si sfama. Il fatto stesso, cioè, che tu mangi determinate cose in determinati posti o preparate da determinati chef, ti colloca all’interno di un contesto preciso e inequivocabile.
Una di noi
Potremmo, volendo, concludere che Guia Soncini è una di noi. Nel suo libro, infatti, troviamo quello che molti pensano riguardo a cosa stia diventando oggi la cucina: l’arte di imporre al pubblico un certo modo di trattare il cibo. Compresa l’ossessione per l’impiattamento, che potremmo considerare una sorta di origami culinaria: vale a dire, la sistemazione estetica della pietanza in piatti piani e fondine.
Con queste parole l’autrice sintetizza l’attuale situazione:
“Si conoscono tutti, e si difendono contro il mondo esterno, quello abitato da noialtri che prima o poi urleremo che il re è nudo e che un piatto di pasta è solo un piatto di pasta”
Ve l’avevo detto che è una di noi.