“La ricreazione è finita” – Dario Ferrari


Voto: 5 stelle / 5

“La ricreazione è finita” è il secondo libro di Dario Ferrari. Pubblicato da Sellerio nel 2023, questa estate ha vinto il Premio Flaiano per la narrativa nella sezione over 35.

Trama de La ricreazione è finita

Marcello Gori è un trentenne finito quasi per caso a Parigi a fare ricerche su un ex brigatista di Viareggio come tesi di dottorato. Le sue operazioni di ricerca sfociano in una vera e propria riflessione esistenziale in cui convergono le persone che ama, dalla sua fidanzata Letizia, con tutta la sua “letizitudine”, ai colleghi dell’università.

Parte del romanzo è ambientato negli Anni di Piombo e mette in scena dinamiche e azioni a volte tragicomiche ma ispirate a fatti realmente accaduti.

“Le persone fanno semplicemente quello che vedono fare agli altri, quello che si fa. Se fossimo nati quarant’anni prima anche noi adesso staremmo discutendo se andare a buttare una molotov nella sede dell’Msi o organizzare una rapina per finanziare una lotta”.

Il titolo si riferisce, distorcendolo, alla frase con cui De Gaulle dichiarò concluso il ‘68 parigino e invitò gli studenti a rientrare in aula: uno dei protagonisti userà questa citazione al contrario, per annunciare il passaggio dalle parole ai fatti. L’inizio della rivoluzione.

Recensione

Grazie al gruppo di lettura “Sulla traccia di Angela” della biblioteca Di Giampaolo di Pescara ho scoperto un autore scoppiettante, enciclopedico e ironico.

Il libro inizia in maniera un po’ caciarona, conquistando la simpatia del lettore travestendosi da parodia (irreale, precisa l’autore, ma affatto irrealistica) della vita accademica.

Un suo pregio è il rilancio dell’azione nei tempi giusti. Un attimo prima di iniziare a farci dubitare arriva una piccola svolta che ci riaggancia immediatamente. Nei radi tempi morti, ci pensano lo stile pirotecnico e gli sterminati riferimenti letterari sottotraccia a intrattenerci.

“(…) un po’ però mi sembra che questa superficialità mi abbia in un certo senso protetto, tenendomi a distanza dal baratro in cui scivola chi si concede integralmente”.

La lettura si mantiene così scorrevolissima e viene voglia di conoscere di persona l’autore, e di farci un viaggio di otto ore in auto (è un test della simpatia che funziona, provatelo anche voi).

Presto, però, il libro appare come uno di quegli escamotage per dare le medicine agli animali: il boccone di carne in cui è nascosto l’antibiotico dal retrogusto amaro.

C’è una fase in cui ci troviamo in un secondo romanzo dentro il romanzo, in cui il tono cambia ma senza snaturarsi, e un’altra in cui i nodi vengono al pettine.

“Forse aveva peccato in omissione, anziché in opere.”

Ecco che “La ricreazione è finita” alla fine appare per quel che è: una riflessione personale, una ricerca di identità, una presa di coscienza generazionale. L’inetto di Italo Svevo è ancora vivo e lotta in mezzo a noi. Quando cerca di imbarcarsi in una impresa più grande di lui conosce veramente sé stesso, trae le sue conclusioni. E ci lascia molto su cui riflettere.

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