“L’acqua del lago non è mai dolce” è il nuovo romanzo di Giulia Caminito che la casa editrice Bompiani ha pubblicato a metà gennaio 2021 e già alla prima ristampa. Giulia Caminito è un’autrice emergente che si sta facendo notare dal Premio Bagutta Opera Prima 2017. Ringraziamo l’ufficio stampa per la copia digitale in omaggio.
Trama de L’acqua del lago non è mai dolce
Ne “L’acqua del lago non è mai dolce” seguiamo la protagonista dalla preadolescenza alla laurea. Lei ha un nome che non le “corrisponde” ma scopriamo qual è solo verso la fine. La sua vita è ingombrata da una madre-carro armato e noi arranchiamo insieme alla narratrice nella fatica di voler essere come gli altri, nella vergogna e nella diversità. L’amicizia, le promesse, l’amore, la delusione, il tradimento, la morte: stilettata dopo stilettata, la sorte sembra sfidare questa ragazza già abbastanza provata. Allora quale finale si dovrebbe scegliere per un libro così? …Non ve lo dico.
Recensione
La protagonista di “L’acqua del lago non è mai dolce” è rossa di capelli e parla in prima persona, così per un terzo del libro mi sono sentita coinvolta e incredula perché pensavo di assistere a una confessione. La situazione famigliare descritta è tanto complicata quanto verosimile, l’adolescente cresce caricando rabbia per via del disagio e della povertà. Ho passato una notte condividendo la colpa della figura della madre Antonia, imponente, battagliera, vischiosa. Mi chiedevo cosa rimarrà delle mie scelte nella testa di mio figlio, del perché gli dico di no, del come mai gli dico sì.
“Mia madre taglia corto e mi porta via, dice che è una sciocchezza, in quel punto non appariranno una testa, un occhio, un piede, una veste e io resto in bilico nel decidere a chi dare ragione: a mia madre che non vede nulla, o al ragazzino che vede tutto”
Poi, quando le confessioni sono diventate piuttosto impegnative, ho capito di avere davanti un prodotto di finzione. Vorrei poter dire che ho tirato un sospiro di sollievo, invece non è bastato: i conti sono tornati sempre. La madre è rimasta piena di colpe, tutto è cresciuto nell’ira, nell’impotenza, nella resa. Tutto è stato ancora reale, intimo, potente.
“La casa che la attende ora è una faglia, una ferita pulsante, un ascesso scoppiato, un bisturi che ha diviso lembi di pelle”
Giulia Caminito dà voce a quella parte magmatica che in un adulto non riesce a rapprendersi completamente e che è viva e irrimediabile negli adolescenti. Lo fa con una scrittura che strappa il fiato e che mantiene un’eco forte anche giorni dopo aver concluso la lettura.
Trovo che “L’acqua del lago non è mai dolce” dovrebbe essere letto tanto dagli studenti della secondaria di secondo grado quanto dai loro genitori. Anzi lo sto già consigliando.
Ho letto per curiosità le prime pagine e da subito lo stile mi ha dato i brividi, non quelli che pensate voi, gli altri.
“Ha preso abitudine a sfogliare i miei quaderni e i diari se riesce a raggiungerli e ha angoscia che io stia nel mondo implume, senza padre che mi protegga. Non è mai parso un suo timore, ma da quando perdo la mia muta come serpente, lui inizia a chiedere a Mariano insistentemente di tenermi d’occhio…”
Amicaaaaa, gli articoli li abbiamo lasciati in Voivodina? Sia chiaro, con tutta la simpatia che nutro per le lingue slave, quando leggo frasi così penso al buon Vujadin (Boškov): “partita finisce quando arbitro fischia!”. Uguale. Sì, certo che il senso si capisce, però… però! Ovvio che può piacere, per carità. Agli altri, perché a me no. Cioè, in Boškov mi faceva sorridere, qui, in un libro candidato allo Strega spiega i miei brividi “brutti”. Leggendo mi pareva di essere lei, la protagonista quando andava al cinema d’estate con la madre a vedere i film che piacevano alla donna, si addormentava per la fatica di reggere quelle pellicole datate. Ecco, anche io ero affaticata mentre leggevo, ma invece di dormire avrei fatto volare il Kindle. Allora mi fermavo e mi ripetevo: “porta pazienza che dicono che il finale sia bello…”. Sono arrivata al finale e non l’ho capito, forse per quello è bello, perché si può capire come no.
Pagine e pagine di elenchi su elenchi, e secondo voi, li ho letti? Che a pag. 192 gli elenchi praticamente sono il riassunto delle 190 pagine precedenti? Sì che li ho letti: una pagina sì e una no!
Ho un problema con l’adolescenza, non ovviamente con la mia, ma con quella delle due mostre che mi girano per casa e quindi leggerne mi infastidisce ancora di più. Perché questa qui, quella del libro, sembra avere una personalità dissociata. Studentessa modello di giorno e vandalicamente violenta la notte. Di quelle dolci adolescenti che io prenderei a badilate sulle nocche delle manine. Mi potreste dire: “eh va bene ma da una famiglia così disfunzionale e derelitta e povera e sfigata cosa vuoi pretendere?” Ah niente, per carità… però mi esce un personaggio fastidioso che, non ho capito, se viva di rassegnazione, di disillusione o disinteresse. C’è da dire che l’introspezione, in questo romanzo, è fatto di elenchi (sempre quelli di prima che piacciono tanto alla Caminito) di similitudini e di metafore. E con una prosa che mi arrivava fredda, spigolosa, stridente, stonata, con tutte quelle punte e quegli aculei che mi hanno tenuta lontana da Gaia (ah, grazie di aver rivelato il suo nome a venti pagine dalla fine, non ci speravo più), reso impossibile entrare in sintonia con lei. Lo stile paratattico, manierato che non ha nulla della fluidità che piace a me, mi ha proprio impedito di avvicinarmi alla storia. Anche qui, qualcuno potrebbe dirmi: “eh ma è lo stile giusto per raccontare una storia così drammatica!”. Bah, ma anche no. Voglio dire, ho letto racconti ben più drammatici che suonavano tutta un’altra musica. Mica è necessario essere stridenti per raccontare drammi.
La storia: sarà colpa dell’adolescenza disgraziata, ma sono cose già viste, proprio niente di nuovo, non è una storia particolarmente originale, Allora ho ragionato e mi sono detta che forse, l’autrice, ha puntato più sulla costruzione della prosa particolare. Però, ditemi voi: che cosa diventa un romanzo così, se non un esercizio di stile? Uno stile che, a me, m’ha proprio urtato le pupille (s’era capito?) ma che, di sicuro, a molti è piaciuto.
Quindi, io l’ho letto e l’ho patito per quasi 300 pagine, non sono riuscita ad emozionarmi né ad empatizzare con nessuno, e ho capito che per il prossimo decennio, se in una sinossi leggerò “adolescente/i”, passerò.
3 stelle, mezzo punto l’ha guadagnato per quel paio di capitoli che ho apprezzato.
(Cristina, dal tuo commento sembra anche un bel libro!)