Il 2019 scivola via con una ricorrenza interessante: sono passati esattamente 500 anni della prima traduzione italiana di “L’asino d’oro, o Le Metamorfosi” di Apuleio. È dal 1519, infatti, che circola anche in italiano questa curiosa storia scritta e ambientata nel secondo secolo d.C che, insieme al “Satyricon” di Petronio, costituisce l’unica testimonianza del romanzo antico in lingua latina.
La trama di L’asino d’oro
Un tale Lucio racconta in prima persona le sue avventure improbabili, fatte di trasformazioni, magie, episodi truculenti ed erotici. Il lettore, sgranando gli occhi, lo vede tramutarsi in asino per via di un esperimento finito male, e attraverso undici libri lo segue nelle peripezie che vive in attesa di tornare un essere umano. L’asino rischia più volte la pelle, finisce per passare una notte d’amore con una donna, sta per essere scuoiato per punirne un’altra – da ricucire nella sua pancia – e così via. I piani narrativi quindi diventano due: in uno seguiamo l’asino e nell’altro, in micro-strutture a cornice, ascoltiamo le storie narrate dalle persone che incontra, in una struttura classica che continueremo a trovare anche diversi secoli dopo, con Chaucer e Boccaccio.
Recensione
La prima cosa curiosa che si scopre è che il prenomen Lucio sarebbe stato attribuito all’autore Apuleio proprio a causa di questo io narrante che racconta le sue disavventure. La seconda cosa curiosa è che una delle opere al momento più preziose della letteratura latina è a metà strada fra lo splatter e l’erotico-fantasy. Durante la lettura mi sono stupita più per la fantasia e la disinibizione che ho incontrato, che per i contenuti. Sarà che colleghiamo il latino al linguaggio aulico dei dottori, medici e musicisti, ma avevo un po’ dimenticato la goliardia degli antichi romani (e degli algerini, visto che Apuleio era originario della Numidia e quindi ce lo dobbiamo immaginare con la pelle dorata).
Si ritiene che quest’opera sia il rifacimento di un’altra, anche se si pensa che il finale sia di Apuleio, ma la questione della fantasia non cambia.
Al centro troviamo la favola di “Amore e Psiche”, sia come posizione ed estensione (occupa tre libri!) sia come significato. Conferisce al libro una sorta di contenuto iniziatico perché il peccato del protagonista e di Psiche è lo stesso: la curiositas, la curiosità.
È Apuleio a rendere famosa questa favola, anche se si ritiene che appartenga a una tradizione orale a lui antecedente, quindi questo è un motivo per leggerlo.
“Quello che nessuno sa quasi non esiste”
L’altro motivo è che è un testo arricchente se si beccare la traduzione giusta. Mi dicono dal gruppo di lettura della #sfidadeiclassici (l’origine del Male) che uscirà una traduzione nuova per Feltrinelli all’inizio del 2020: vi consiglio di provare direttamente con quella, perché io ne ho letta una degli anni ’60 affidata a poeti (Guido Vitali e Marco Pagliano) che hanno seguito uno schema che oggi ci suona purtroppo vecchio. Tra i vari “dirottamente piangendo” e i “balzando sveltamente” ho passato alcuni giorni piuttosto scoraggianti. La lettura è stata comunque interessante e per certi versi buffa.
Mi piace come lo hai inquadrato! Tra wrotico-fantasy e splatter è geniale