“Lost & found” – Kathryn Schulz


Voto: 3,5 stelle / 5

“Lost & found. Sul perdere e trovare l’amore” è il nuovo libro di Kathryn Schulz, tradotto dall’inglese da Chiara Baffa e pubblicato da Bompiani a febbraio 2023. Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea ricevuta in omaggio.

Trama di Lost & Found

Non è facile recensire un libro che non è piaciuto del tutto, ad essere precisi e matematici, piaciuto per due terzi; quel terzo però non sono riuscita ad apprezzarlo.

Lo so che non ha alcun significato voler classificare un libro, ma questo lavoro di Schulz rientra in quella casistica particolare di autobiografia che, partendo appunto dal proprio vissuto, spazia verso orizzonti più ampi, verso la saggistica. Si articola in tre grandi capitoli: “Lost” (perdere), “Found” (trovare), “&” (e).

Schulz, poco prima di perdere il padre – uomo brillante ma sbadato – incontra l’amore della sua vita, C.

Partendo dal grave lutto accaduto inizia a ragionare sulle piccole e grandi perdite quotidiane di ognuno di noi, dalle chiavi di casa, al portafogli, a portatile. Quante cose perdiamo ogni giorno? E quanto tempo impieghiamo, poi, per cercarle e magari (non) ritrovarle? Quante cose ha perso e continua a perdere il mondo, da specie animali a quelle vegetali, usanze, modi di dire specifici, parole, Boeing 777? Forse come me, anche voi avrete spalancato gli occhi sul perdere un Boeing, non nel senso di perdere un volo. 

No, smarrire proprio un aereo. 

Eppure nel mondo ci siamo persi anche quello (vi ricordate il volo Malaysia Airlines 370?), ma è tutta questione di relatività: per noi un aereo è troppo grande per poter essere perso, ma, in realtà, è piccolo abbastanza per stare a migliaia di metri nelle profondità dell’Oceano Indiano.

Recensione

Le riflessioni che Kathryn Schulz fa sulle perdite più o meno importanti per ognuno di noi, fino ad arrivare a quella macroscopica di perdere qualcuno che ha segnato profondamente le nostre vite e che abbiamo amato, sono molto acute, alcuni illuminanti. 

Come lo è la sua analisi degli stadi del dolore dopo un lutto, il senso di smarrimento, la rabbia, la tristezza, gli equilibri familiari che si devono riorganizzare dopo l’addio ad un membro.

Quando, nella vita reale, perdiamo qualcosa e non riusciamo a trovarla, spesso finiamo col pensare che sia finita in un luogo introvabile. Un luogo in cui tutti gli oggetti smarriti si incontrano: la Valle delle Cose perdute. Un luogo che molti autori hanno immaginato nei loro scritti: pensiamo a Ludovico Ariosto che ha fantasticato sul senno di Orlando finito sulla Luna, concetto ripreso da Travers in Mary Poppins. Insomma, un luogo remoto in cui trovare dal calzino, agli pterodattili all’anima, fino alle idee che abbiamo avuto e poi dimenticato. Eppure è un luogo a noi inaccessibile, confortante, una teoria bislacca ma affascinante. Tuttavia molto malinconica: a noi, da qui, sul Pianeta Terra, non è dato di raggiungere la Valle in cui sta anche quella cosa che ci ha tanto rattristato smarrire per sempre, qualsiasi cosa sia. 

Un po’ come l’oltretomba. Sì, perché anche le persone che amiamo, e che qui non rivedremo più, hanno un posto che noi immaginiamo per loro: l’aldilà.

“Non è lo stesso, tuttavia, nel caso di tutti i vuoti che si porta dietro la morte di qualcuno che si ama, che cominciano a sembrare diversi, anche loro finalmente riempiti di qualcosa di diverso dal dolore. […] È proprio questo il paradosso fondamentale della perdita: una cosa perduta non scompare mai.” [Lost]

I ritrovamenti invece hanno delle sfumature molte diverse. Ovviamente ci sono delle cose che abbiamo trovato perché le stavamo cercando e altre che abbiamo trovato casualmente che possono somigliare più a delle scoperte. Pensiamo alle scoperte scientifiche: quanti scienziati cercavano una cosa e strada facendo ne hanno scoperte altre? Perché, spesso, invece, dobbiamo cercare a lungo qualcosa che abbiamo trovato per caso. A primo acchito sembra un paradosso eppure succede.

Il punto debole

È la sezione dedicata al “Found” ad essermi piaciuta meno, pur essendoci anche in questa parte delle considerazioni interessanti, delle citazioni letterarie e filosofiche che mostrano sicuramente lo studio e la preparazione dell’autrice. Ma quando mi si perde in melensaggini – concedetemelo – anche un po’ banali sull’amore romantico, sulle beatitudini dell’innamoramento, e sul voler, in qualche modo, razionalizzare e spiegare l’attrazione mentale tra due persone… no, lì mi scema completamente l’attenzione.

E infatti andavo avanti per inerzia. Ho trovato questo secondo capitolo troppo concentrato sulla sua esperienza personale, mi è parso (ma potrei sbagliare, perché ho fatto davvero tanta tanta fatica a leggerlo) che sia riuscita meno nell’’astrazione dei concetti relativi al trovare o trovarsi.

Meno male poi col capitolo dedicato alla congiunzione si riprende, esce dal contesto rosa in cui si era inabissata, e racconta cose che io ignoravo completamente su quella “&”. Che è la versione grafica della congiunzione latina “et”. Mette insieme proprio le due lettere, la e e la t (si vede bene in alcuni caratteri grafici). Fino alla metà del XIX secolo, l’alfabeto anglosassone finiva con la “&”, come se in realtà non dovesse finire. Perché ci sono dei collegamenti da fare, perché le grandi idee rivoluzionarie spesso nascono trovando le opportune correlazioni tra singoli pensieri isolati. La grande capacità della mente umana è la comprensione, ed emerge quando riusciamo a vedere i collegamenti tra le cose.

Perché la “e” unisce ambiti e oggetti diversi, ci permette, sì, di mettere insieme qualsiasi cosa mentre parliamo, ma la reale scoperta è che quella letterina ci porta a pensare che stia per succedere qualcos’altro.

“Di conseguenza, il sentimento di “e” non è solo un sentimento di congiunzione, ma è anche un sentimento di continuazione.”

Chiara Carnio

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