Domenico Dara è un autore calabrese che ha già conquistato migliaia di lettori con i suoi primi romanzi, “Breve trattato sulle coincidenze” (Nutrimenti, 2014) e “Appunti di meccanica celeste” (2016). Ci offre con “Malinverno” (Feltrinelli, 2020) un sapiente intreccio di fantasia, amore e incanto narrativo che stupisce, avvince e ci proietta in una dimensione quasi onirica, sospesa nel tempo.
Trama di Malinverno
Timpamara, paese della carta. La più antica cartiera della regione viene costruita proprio in questo luogo. Insieme a lei c’è un maceratoio che, oltre ad offrire lavoro agli abitanti del paese, a poco a poco comincia ad offrire anche frammenti di antiche storie. Brandelli di cultura che, svolazzando in balia dei venti, con il passare degli anni diventano patrimonio di un’intera comunità.
Astolfo Malinverno è il bibliotecario di Timpamara, che vive in solitudine tra la passione per i libri e un’anima sognatrice. La sua vita cambia quando viene nominato anche guardiano del cimitero. Dapprima non accetta questo nuovo lavoro che sconvolge la sua quotidiana routine, ma poi comincia ad entrare in quel nuovo mondo fatto di piccoli gesti e mille sorprese.
Tra queste c’è una tomba anonima, caratterizzata solo da un bellissimo volto femminile. Questo suscita l’attenzione di Astolfo, che comincia a provare, per colei che decide di chiamare Emma Bovary, un affetto profondo. La sua vita viene sconvolta dal momento in cui vede una donna, molto somigliante alla sua Emma, accanto alla sua tomba.
“Non nasciamo il giorno in cui vediamo la luce, nell’attimo in cui braccia sconosciute ci trascinano nell’infinito e indecifrabile corso della storia, ma molto prima, quando il pensiero di noi si è insinuato nella mente ancora libera di uomini e donne, quando il nome d’un essere inesistente appare nell’orizzonte sfumato d’una vita possibile.”
La vicenda di Astolfo si intreccia con quella di un intero paese. Attraverso le sue fragilità e il suo mondo letterario, veniamo a contatto con la realtà un po’ fiabesca, un po’ grottesca, di questa straordinaria comunità. Intorno a lui, zoppicante nel corpo, ruotano molteplici personaggi “zoppicanti nell’anima”. Troviamo Elea Maierà, il risuscitato; Anatolio Corigliano e la sua autobiografia romanzata; Margherita e il suo amore perduto; Isaia Caramante e il suo mondo fatto di suoni e voci che provengono da un mondo lontano.
Recensione
C’è un’atmosfera incantata a Timpamara quando il vento afferra e fa volteggiare frammenti letterari, parole di grandi autori, nomi straordinari che emergono da un passato ormai lontano e tornano a nuova vita per le strade del paese.
C’è un tenero incanto nella figura di Astolfo Malinverno, che, come il suo omonimo cavaliere, sogna la luna e, a suo modo, cerca di raggiungerla. Un incanto speciale nelle storie di tutti i giorni, nei personaggi protagonisti di una realtà suggestiva e affascinante, anche nei suoi momenti più drammatici.
Vita e morte, sogno e realtà si intrecciano con una grazia sottile, che affascina e rapisce il lettore.
“Mi piaceva l’idea che ci fosse come una connessione tra i libri e le persone, che un disegno avesse deciso e preparato il loro appuntamento, previsto l’innesto. Come il mio incontro con Emma. Assecondando la legge dell’incastro, i libri giusti al momento giusto.”
Nomi propri che ricordano grandi capolavori letterari, cognomi che riportano a paesi meravigliosi, ma troppe volte dimenticati, dell’entroterra calabrese. Timpamara diventa così simbolo di ogni paese, emblema di quella straordinaria realtà magnogreca e del suoi miti incantati. E’ così che ogni personaggio diventa leggendario e la sua storia, pur tratteggiata con delicatezza e tragicità insieme, ci strappa un tenero sorriso.
Disseminati qua e là finissimi riferimenti letterari, metafore argute, toni lirici sorprendenti e affascinanti, che rendono unico lo stile di Domenico Dara. La narrazione è condotta in prima persona e questo permette una minuziosa analisi psicologica. Attraverso gli occhi e il cuore di Astolfo Malinverno diventiamo parte del suo mondo. Attraverso la sua semplicità conosciamo la delicatezza del dolore, la poesia delle piccole cose, la magia dell’amore e delle grandi storie, come, ad esempio, l’Orlando Furioso.
Piccola curiosità: i 46 capitoli del romanzo ricordano i 46 canti del poema cavalleresco di Ludovico Ariosto. Se Astolfo riportò sulla terra il senno di Orlando, almeno per qualche ora, il nostro Malinverno ha trasportato noi in un mondo fantastico, con la forza dell’immaginazione.
Consigliato agli amanti della letteratura, a chi cerca un rifugio per l’anima e una delicata carezza per il cuore.
Questo romanzo mi ha stupita per la sua capacità di parlare di morte senza essere funereo; di mancanza senza essere opprimente. l’ho letto perché scelto da un gruppo di lettura e ne sono stata contenta proprio perché ero stata invogliata da questa recensione di Antonella Covelli e da una citazione che ho letto da qualche parte.
Non sono rimasta delusa. Tifavo per un finale diverso, ma, come dice anche l’io narrante, non è sempre facile per gli scrittori decidere la fine dei loro personaggi.
Mi è piaciuto molto anche per l’intreccio, che mi ha tenuta allacciata senza stringere troppo.
“Sempre sporchi di farina, e non solo loro, ché anche noi bibliotecari, e così pure i librai, ci imbrattiamo, ma invece di farina, sulla pelle e sui vestiti, portiamo parole, lettere, frasi, immagini, che al contrario non vanno via con uno scrollio delle mani o una doccia, ma s’infilano nelle fibre e nelle carni e nelle vene per arrivare dritti al cuore, a tramortirlo, consolarlo, rinvigorirlo.”