Mauriziello

Mauriziello “lo statale” ; veniva chiamato così perché aveva prestato servizio – con notevole rigidezza – allo Stato; lavorando in Comune, per oltre trentadue anni.
“Ma quello là”  farfugliava la gentaglia del quartiere  “ha voluto pensare solo a lavorare; scemo scemo ha perso pure sua moglie”. Altresì si diceva che Mauriziello, nei suoi trentadue anni di incessante lavoro, si dichiarò pochissime volte in malattia, o se quantomeno, malato lo fosse veramente.
Perché a Napoli è sovente fingersi malati, o ancor più in cattiva intenzione, corrompere un medico a fare carte false per non lavorare.
Sua moglie non era di diverso stampo dalle bestiacce che popolavano il rione. Dopotutto lei tradì suo marito con un certo  Antonio Scafati, riccone di Procida, che senza sporcarsi mano alcuna, possedeva più di Mauriziello;  a Concettina Esposito, in fondo, bastava loro. I soldi.
Non si era accorto proprio di niente, spettegolavano i paesani; e non avevano torto: Mauriziello s’era fatto entrare in casa lo Scafati di turno, e come se non bastasse, mentre lui era in casa.
Mauriziello rimpiangeva d’essere stato tradito in quelle poche ore nelle quali lui era nella sua dimora, “E figuriamoci cosa mi combinava quando stavo a lavoro” deplorava lui; che ci poteva fare, sente poco un uomo di cinquantaquattro anni quando dorme, e ancor meno, quando s’è caricati di lavoro, con l’intento di mantenere la famiglia.
Tuttavia Concettina e Mauriziello – sebbene legalmente e non per via amorosa – erano ancora legati; lui era restio nel concedere il divorzio e nemmeno l’avvocato per eccellenza avrebbe potuto scardinare l’arte di essere marito di Mauriziello.
Una leggera mattina di maggio, i due amanti (Concettina e Scafati) si riunirono per discutere sul come disincagliare l’ancora da Concettina; volevano i soldi del divorzio, che per solito, spettava al marito darli alla consorte; ma l’avvocato stesso si rifiutava di tenere questa questione: “Tuo marito non ha difetti,” ripeteva il giurista ” Cercati un altro avvocato” concludeva.
Eppure era d’obbligo trovare una soluzione.
Per pochi soldi, ossia quelli della liquidazione , arrivarono diabolicamente a questa sentenza. Mauriziello – secondo Scafati – doveva morire.
Perché in fondo c’era umanità in Concettina, aveva passato anni passionali con il suo consorte: a diciassette anni si erano incontrati, e privi di difese, si erano innamorati; era stato un amore febbrile il loro, frenetico; di notte solevano svegliarsi per ammirare la luna pavoneggiarsi in alto, sulle spalle piccole del Vesuvio, e molte notti, quando il mare era  leggermente arzillo, amavano addormentarsi lasciando le ante del finestrone aperte, permettendo alle onde di cullare i loro cuori puerili, attraverso il dolce e potente suono del mare che si scagliava sugli scogli rigidi.
Ma lì erano altri tempi, ora il cuore nero di Concettina s’era fatto ingannare da un malfattore, e ora lei desiderava altro. Quindi pattuirono così: avrebbero colto di soppiatto Mauriziello nel momento in cui tornava a casa sera tardi, all’uscita della metropolitana, quando lui era stanco morto e con forze esigue.
Era passata circa una settimana, e le due anime malate, dovevano spezzare la vita ad un uomo che, niente di male aveva fatto e non ne avrebbe fatto fino alla sua morte naturale.
Scafati s’era offerto di fare lui il lavoro sporco (bontà d’animo evidente), mentre Concettina aveva soltanto il compito di avvisare se il marito stesse per solcare le porte d’uscita.

disegno impiegato comunale
A un certo punto però, il telefono di Concettina squillò: era sua nuora, la quale,  con voce disperata e delirante, denunciava la morte di suo figlio.
Era morto in Comune, poco prima di terminare l’ennesima alienante giornata lavorativa; lo stesso lavoro che l’aveva nobilitato, se l’era portato via, senza pudore, la vita, aveva deciso così: un nobile animo di cinquantaquattro anni doveva morire da solo, d’infarto, in una mera e insignificante stanza di Comune. Era morto senza nemmeno ricevere l’ultimo bacio da sua moglie, che tanto l’aveva odiato perché il suo cuore s’era inaridito.
E ora in silenzio gioivano le coscienze cattive di Scafati e Concettina, che vedevano avverarsi il loro sogno, – quantomeno quello di lui – un sogno che avrebbe arricchito il proprio capitale, ma sporcato i propri cuori, quali erano già neri come la pece e piccoli come pezzi di selce.

Antonio Figliolino.

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