“La novella del buon vecchio e della bella fanciulla” è uno scritto di Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz, che è stato pubblicato insieme ad altri scritti nel 1929, dopo la sua morte, dalla casa editrice milanese Morreale con una nota introduttiva di Eugenio Montale.
Trama de La novella del buon vecchio e della bella fanciulla
Il buon vecchio riceve nel suo ufficio una anziana donna che raccomanda la figlia – descrivendola giovane, forte, intelligente e abile nella lettura e nella scrittura – affinché questa possa trovare un’occupazione lavorativa. Il vecchio – dunque – scrive una raccomandata per la direzione della società tranviaria e congedate le due donne, torna ai suoi affari.
La fanciulla inizia a lavorare come conduttrice di vetture tranviarie. È molto giovane – sulla ventina – e in quanto tale ignora il pericolo, sfrecciando a tutta velocità lungo il viale della città.
Un giorno il buon vecchio prende il tram e comincia a conversare con la giovinetta. Con fare pseudo-filantropico la invita a cena per proporle sbocchi lavorativi alternativi che si addicano maggiormente a una giovane fanciulla.
La giovane e il vecchio iniziano a vedersi con frequenza e parlano di impieghi, fino a quando il buon vecchio non decide di accantonare la maschera da filantropo e vestire quella da seduttore. Tra i due si apre una parentesi di incontri passionali, successivamente chiusa da un attacco di angina pectoris che spaventa il vecchio, il quale non vuole vedere più la giovane fanciulla.
Dopo quel fatto il buon vecchio si congeda non solo dalla ragazza ma anche dagli impegni di ufficio e trascorre le giornate guardando il modo dalla finestra di casa. Assiste a due episodi che lo fanno riflettere:
prima vede un giovane che aiuta un vecchio ubriaco, tuttavia quest’ultimo immotivatamente picchia il povero ragazzo. Poi vede la giovinetta ben vestita che passeggia sorridendo in buona compagnia.
La versione filantropica del buon vecchio prova pietà per quel giovane e sempre quella stessa versione filantropica vorrebbe fare un discorso alla giovinetta per metterla in guardia dagli “amori disordinati”. La sua versione immorale – invece – desidera sedurre ed essere reciprocamente sedotto dalla giovane.
Il buon vecchio, alla fine della storia, si impiega nella stesura di un romanzo in cui formula una teoria su come dovrebbe essere il rapporto tra giovani e vecchi per poter vivere in armonia in una società sana e fondata su principi morali.
Recensione
Svevo non smette di sorprenderci e qualche anno dopo la pubblicazione della sua opera più celebre (“La coscienza di Zeno”), ci regala questo sfizioso “dessert”: la “novella del buon vecchio e della bella fanciulla”.
Nonostante la trama possa apparire frivola e banale agli occhi di un lettore distratto – tuttavia – una lettura più attenta e consapevole, agevola la messa a fuoco sull’introspezione psicologica del buon vecchio. Un racconto piacevole, un breve ma intenso viaggio introspettivo nella coscienza di quest’uomo attempato, perennemente combattuto tra l’essere “filantropo” (termine usato dall’autore) e l’essere immoralmente voluttuoso.
Paola Fasciana