Racconto breve “Piccole cose” di Raymond Carver

L’inizio del racconto

Piccole cose è un racconto breve di Raymond Carver. Si trova nella raccolta Da dove sto chiamando e comincia così:

Durante il giorno era uscito il sole e la neve si era sciolta in acqua sporca. Ora scorreva in rivoletti sulla finestrella ad altezza spalla che dava sul retro. In strada le macchine passavano frusciando nella poltiglia. Si stava facendo sempre più buio, sia dentro che fuori.

Lui era in camera da letto e cacciava dei vestiti in valigia quando lei apparve sulla soglia.

Sono proprio contenta che te ne vai! Sono proprio contenta!, disse. Mi senti?

Lui continuò a mettere le sue cose in valigia.

Brutto figlio di puttana! Sono proprio contenta che te ne vai! Scoppiò a piangere. Non hai nemmeno il coraggio di guardarmi in faccia, vero? Poi notò la foto del bambino poggiata sul letto e la prese.

Lui la guardò e lei si asciugò le lacrime e lo fissò per un po’ prima di voltarsi e di tornare in soggiorno.

Vediamo di raccogliere le informazioni che l’autore ci comunica. Siamo di fronte a una situazione di assoluta quotidianità. A giudicare dallo stato delle strade, potrebbe essere inverno. E si sta facendo notte. Ma l’oscurità acquista fin da subito valenze soprattutto interiori. Ce lo rivela la frase Si stava facendo sempre più buio, sia dentro che fuori, di cui l’autore si serve per passare dall’ambiente esterno a quello interno.

Lì troviamo una coppia in via di decomposizione. Colpisce soprattutto la differenza di atteggiamento fra i due. Lui sembra quasi tranquillo. Prepara la valigia in silenzio, senza spiccicare una parola. Lei, invece, si mostra aggressiva. Insulta quello che ormai possiamo considerare l’ex marito. Poi prende la foto del bambino. Non è un gesto casuale, come stiamo per vedere.

 

La disputa per il bambino

Voglio il bambino, disse lui.

Ma sei matto?

No, ma voglio il bambino. Farò venire qualcuno a prendere le sue cose.

Tu questa creatura non la tocchi.

Il bambino si mise a piangere e lei gli scostò la copertina dalla testa.

Oh-oh, disse, guardando il bambino.

Lui fece un passo verso di lei.

Per l’amor di Dio!, disse lei, arretrando nella cucina.

Voglio il bambino.

Vattene via!

 

Il dialogo ribadisce la differenza tra i due: freddo e quasi gelido lui; emotiva e scomposta lei. Al centro del racconto passa il bambino. Notate come la narrazione sia costruita secondo un crescendo che lascia presagire al lettore l’imminenza di un dramma.

 

Il bambino si era fatto tutto rosso in faccia e urlava. Nella lotta fecero cadere un vaso di fiori appeso dietro la stufa.

Lui allora la spinse contro la parete, cercando di farle mollare la presa. Teneva stretto il bambino e spingeva con tutto il suo peso sul braccio di lei.

Lascialo, le disse.

Smettila, disse lei. Gli fai male!

Non gli faccio male.

Dalla finestra della cucina non entrava luce. Nella penombra , con una mano cercava di allentare le dita di lei strette a pugno, mentre con l’altra stringeva il bambino urlante per un braccio, vicino alla spalla.

Lei sentiva le proprie dita aprirsi e il bambino scivolarle via. No!, gridò nel momento in cui le sfuggì la presa. L’avrebbe avuto lei, il bambino. Lo afferrò per l’altro braccetto. Riuscì a prenderlo per il polso e si tirò indietro.

Neanche lui voleva cedere. Sentì il bambino scivolargli dalle mani e tirò con molta forza.

E così la questione fu risolta.

 

Una conclusione sospesa per Piccole cose

In situazioni come questa, si sa, sono i bambini ad andarci di mezzo. Oltretutto la disputa fra i due richiama in un certo senso l’episodio biblico delle due madri che si contendono un figlio dinanzi al Re Salomone. Non sappiamo se l’allusione di Carver a un modello tanto alto sia voluta. Ma due cose spiccano sulle altre. Intanto la determinazione dei due genitori a non cedere. E poi il finale.

La conclusione del racconto è semplicemente perfetta. Trae la propria efficacia dalla sintesi. Perché dice tutto ma al tempo stesso non dice nulla. Lascia la mente di noi lettori aperta a qualunque interpretazione. Anche se la prima cosa cui viene da pensare è che il bambino abbia fatto una brutta fine. Noi non lo sapremo mai. Ma è meglio così. Diversamente, il racconto perderebbe tutta la sua forza. Carver non era uno che scriveva a casaccio. E questo, almeno, lo sappiamo.

 

Raymond Carver, Da dove sto chiamando, Milano, Mondolibri, 2011. “Piccole cose”

 

Commenti