“Piero fa la Merica” è il nuovo libro di Paolo Malaguti, pubblicato da Einaudi ad aprile 2023: una storia di fame e di emigrazione – da un paese in provincia di Treviso al Brasile – che ripercorre il grande esodo dei contadini a fine ‘800.
Di Paolo Malaguti abbiamo recensito anche “Il Moro della cima“.
Trama di Piero fa la Merica
Piero, quindici anni sulle spalle e una fame così grande nello stomaco, appartenente ad una famiglia di bisnenti (chi non ha niente due volte) dove tutti sono pronti a involarti anche una crosta di pane stantio, ha imparato a muoversi con cautela, sia quando ruba legna nei boschi del Montello o quando, non senza un rigurgito di coscienza, trafuga gli uccellini dai nidi per sfamarsi. Per la sua famiglia, quando scoprirà di essere intrusa in un terreno e in una casa che non le appartengono, l’unica via d’uscita è l’emigrazione.
Proprio in questi anni, verso la fine dell’800, ci pensano gli agenti delle compagnie di navigazione a prospettare i benefici di un trasferimento in Brasile. Soggiogati dal richiamo di un luogo dove la terra – il mato – sembra venga regalata a chi ha voglia di lavorarla, Piero, il padre, un fratello più piccolo e una sorella più grande partono, nell’attesa che la madre, incinta, e i fratelli minori li possano raggiungere. Lasciano un paese dove le cose si sanno, per affidarsi ad un futuro incerto.
Dopo una traversata travagliata in nave, la terra promessa non si presenta con un abbraccio accogliente. Per tutti è asprezza e fatica; per Piero è anche nostalgia, soprattutto della madre cui ha promesso la cura verso il fratello.
Se, rispetto al padre e alla sorella che troveranno qualcuno cui appoggiarsi, lui, come un ciuffo d’erba matta strappata alla sua terra , ma poi scrollato con forza perché perda anche la zolla che si è tirato dietro, sarà sradicato due volte.
Quel dolore che provava svuotando i nidi, lo ritroverà in Brasile, costretto dalle circostanze a non comportarsi diversamente dalle bestie. Supportato dalla barriera costruita con le sofferenze passate, si vestirà di una maschera di insensibilità, percependo che tutti presto o tardi sono calpestati e tutti calpestano e che non esiste pitocco tanto pitocco da non non essere almeno una volta carnefice di qualcun altro.
Recensione
Paolo Malaguti ci trascina: tra le pagine de “Se l’acqua ride” stavamo con Ganbeto nelle correnti dei fiumi, con “Il Moro della cima” salivamo sulle montagne insieme al protagonista. In questo libro siamo con Piero e con il suo peregrinare: sentiamo la sua inquietudine e perfino la sua fame. Nella traversata verso il Brasile, proviamo il suo dolore per la morte di giovani passeggeri; avvertiamo lo spaesamento nella terra promessa.
La storia incalza e preme come dovesse accampare il diritto di essere portata alla luce, riconosciuta e capita per ciò che ha rappresentato quando migliaia di contadini veneti furono costretti ad abbandonare la loro terra. E’ un racconto pulsante con colori, sapori, odori che escono materici.
D’altro canto non c’è giudizio, come se la condanna per le ingiustizie, il taciuto, possano affermarsi più dell’esplicitato.
La tenerezza e l’asprezza convivono. Teneri sono la nostalgia di Piero, il senso di protezione verso il fratellino e la dolcezza nei confronti della sorella; lo smarrimento – nessuna conquista accumulata potrà supplire certi vuoti – il ritrovarsi in un’esistenza che non è più la sua, in perenne equilibrio tra il dolore e la ricerca di risoluzione. Spietati sono le parole scarnificate del padre e il suo puntiglio impietoso, l’ambiente, chi manovra le vite di questi disperati, la ferocia nei confronti dei nativi della foresta.
La scrittura, pur se a tratti difficoltosa per molti termini in dialetto veneto, è solida, immediata, emozionante: ci sembra di voler abbracciare Pietro, di accompagnarlo nelle sue vicissitudini.
All’autore è doveroso un grazie per la scrupolosità nella costruzione degli ambienti e di una storia spiazzante nel rivelare dettagli di un’odissea che conosciamo magari solo a grandi linee.