“Il tempo materiale” – Giorgio Vasta

Ho undici anni, sto in mezzo a gatti divorati dalla rinotracheite e dalla rogna. Sono scheletri storti, poca pelle tirata sopra; infetti, a toccarli si può morire. Ogni pomeriggio lo Spago gli porta da mangiare in fondo al giardino di fronte casa. Io a volte la accompagno. Ci vengono incontro lenti, sbandando laterali, ci guardano con gli occhi che sono gocce d’acqua e fango. Tra i morenti mi sono legato al peggiore, quello che sul bitume dei vialetti se ne sta in fondo, immerso nell’abisso; sente i passi e muove la testa piano, come un cieco che segue una canzone. Il pelo nerastro regredito a sbuffo sulla pelle scrostata, una zampa brancolante persa tra le altre; zoppicava già da piccolo, adesso è grande, uno storpio naturale.


Voto: / 5

Copertina de "Il tempo materiale"

Nimbo mitopoietico

La crudeltà è figlia dell’accuratezza. E lo stile di Nimbo, mitopoietico protagonista de “Il tempo materiale”, è crudele.

Il suo è uno sguardo cupo e accurato. Gli bastano più o meno dodici righe per fotografare la realtà di un ambiente. Nelle sue parole prive di rassicurazione c’è il disincanto di chi osserva impietoso cose, animali e persone. Sembra volerci dire che tutto è come dovrebbe essere. Lui si limita solo a prenderne atto, impregnando ciò che vede della propria visione del mondo. Ma la sua non è un’accettazione passiva. Nimbo interpreta, manifestando al tempo stesso la volontà di concorrere nella trasformazione di qualcosa che non lo soddisfa più.

I dettagli sono pochi, ma di una precisione sconvolgente. Le immagini utilizzate ti si incidono dentro. Specie quelle con cui delinea il ritratto di un gatto ormai allo stremo. Lo vede praticamente immerso nell’abisso. I suoi movimenti richiamano un cieco che segue una canzone. Forse a causa della zampa brancolante persa tra le altre.

 

Il tempo materiale ha un esordio sorprendente

A sorprendere, in questo esordio, è soprattutto la padronanza del mezzo espressivo. Si potrebbe quasi parlare di una scrittura materica, molecolare. L’autore fabbrica parole con le quali costruisce un edificio narrativo dalla struttura mai scontata. La cui crudezza non risparmia sorprese. E a noi lettori piace essere sorpresi.

 

Giorgio Vasta, Il tempo materiale, Roma, Minimum Fax, 2012

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