“Sanguina ancora” – Paolo Nori


Voto: 4 stelle / 5

Durante il lockdown Paolo Nori ha scritto un libro dedicato alla letteratura russa, che è stato pubblicato sotto il titolo di “Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij” da Mondadori ad aprile 2021 e finalista al Premio Campiello 2021.

Eviterò ogni riferimento alla polemica (inutile e sterile, sia detto a lettere più che chiare: chiarissime) in cui a febbraio 2022, appena scoppiata la guerra in Ucraina, si è trovato coinvolto, suo malgrado, il narratore e saggista parmigiano Paolo Nori in qualità di promotore della letteratura russa. Per conoscerlo anche come ottimo traduttore della lingua russa, basta leggersi le “Umili prose” di Aleksàndr Sergeevic Puskin, da lui tradotte per Feltrinelli. Perché io sono qui per parlare di libri. Il resto, poco mi interessa.

Ma che senso ha Sanguina ancora?

Difficile stabilire con precisione cosa sia “Sanguina ancora”, se un romanzo, una biografia, una biografia romanzata o altro ancora. Perfino l’autore ha qualche dubbio in proposito: «questo romanzo su Dostoevskij, che io lo chiamo romanzo senza essere sicuro che sia un romanzo». Qualunque cosa sia, esordisce con queste parole:

Che senso ha oggi, nel 2021, leggere Dostoevskij?
Perché una persona di venti, o di trenta, o di quaranta, o di settant’anni dovrebbe mettersi, oggi, a leggere, o a rileggere, Dostoevskij?
Ecco.
Domanda che non mi mette minimamente in imbarazzo.
La mia risposta è: non lo so.

Non è mica vero che non lo sa. Lo sa benissimo. Altrimenti questo libro non l’avrebbe certo scritto. Il suo senso, a mio modestissimo parere, sta in quel che segue:

Quindi: il senso di leggere Dostoevskij io non lo so, so che Dostoevskij, anche se non lo leggiamo, ci ha detto, nelle cose che ha scritto, come siam fatti prima ancora che venissimo al mondo, e poi so, bene o male, cosa è successo a me, quando ho cominciato a leggerlo, Dostoevskij.

Recensione

Un libro biunivoco

“Sanguina ancora” costituisce un’operazione double face: presenta infatti – in un capitolo zero più altri tredici capitoli – una sorta di registro doppio. C’è uno scrittore che parla di Dostoevskij parlando al tempo stesso di sé. E viceversa. Ma Dostoevskij non è un semplice pretesto. Succede quando un autore diventa all’improvviso carnalmente parte di noi stessi. Parlare di lui è come parlare di sé. L’uno spiega l’altro.

Perché il punto di partenza è proprio una lettura. A quindici anni Paolo Nori legge “Delitto e castigo”. Da quel momento la sua vita cambia profondamente. Perché Dostoevskij è uno di quegli scrittori che in qualche modo sconvolgono un’esistenza. Per le cose che dice. Per come le dice. Per il suo modo di raccontare quello che è l’essere umano. Quello che siamo noi che lo leggiamo leggendo noi stessi.

Nori racconta Dostoevskij – e di conseguenza se stesso – con la sua inconfondibile scrittura sospesa fra dialogato e scritto stile ironico; con quell’ironia che pur avendo un’apparenza garbata graffia lasciando i segni; con la propria esperienza di scrittore e lettore. Dimostrando una rara competenza linguistico-letteraria.

Guerra in Ucraina o no, ci sono cose che vanno lette per la loro fondamentale importanza. Senza di esse, la nostra vita sarebbe molto più povera. E noi non potremmo dire di conoscerci davvero.

One Response

  1. Cristina Mosca 29/06/2022

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