Sibilla era una bambina esile, capelli neri mossi dal vento e occhi grandi e marroni pieni di luce e allegria.
Sibilla viveva con la sua mamma e il fratello maggiore. Il padre, non era una figura presente.
Quell’anno Sibilla, cominciava una nuova avventura, la scuola materna.
Quella mattina la sua mamma era moilto più premurosa del solito e Sibilla si prendeva tutte quelle attenzioni con molto piacere. Camminando per la casa vide appoggiato su una sedia, un piccolo zainetto rosso e dalla felicità, lo indossò per non toglierselo più fino alla fine della giornata.
Arrivarono davanti alla scuola, Sibilla e la sua mamma e, il suo piccolo cuoricino cominciò a battere più forte, la mano che stringeva quella della sua mamma si fece ancora più stretta.
Entrarono e lì Sibilla, rimase stupita. Bambini che correvano, sorridenti e felici ma, a lei, quella situazione non provocava tutto quell’entusiamo.
Ad accoglierle arrivò una donna, che assomigliava un pò alla sua mamma, giovane e bella e, con un sorriso meraviglioso, si accovacciò alla sua altezza e le disse: “Ciao Sibilla, io mi chiamo Ines”. Sibilla la guardava con curiosità e dopo qualche momento di esitazione ricambiò con un timido sorriso salutandola.
Tutto questo avveniva tenendo ben salda la mano della sua mamma ma, il momento drammatico era arrivato.
La sua mamma la fissò dritta negli occhi e in un istante si riempirono di lacrime. Appiccicata al vetro vedeva, per come poteva, viste le lacrime che scendevano copiose, la sua mamma allontanarsi. La guardava con tutto l’amore possibile, lunghi capelli lisci e neri, corpo esile e occhi tristi.
Quando tutti i genitori uscirono dal cortile e, tutti i bimbi entrarono nelle loro classi, Sibilla rimase lì. Non ci fu modo di portarla lontano da quella vetrata così la sua maestra Ines, dolce maestra, la lasciò tranquilla. Dalla classe riusciva a vederla perfettamente perciò decise di non traumatizzarla ulteriormente e, tra una cosa e l’altra si avvicinava in silenzio e le accarezzava la piccola testolina, facendole capire che lei già le voleva un mondo di bene.
Passò la giornata e i genitori iniziavano ad arrivare, i bambini cominciavano a prepararsi e a scalpitare lei no, Sibilla era immobile con lo sguardo fissò all’esterno, alla ricerca della sua mamma.
Il cortile cominciava a svuotarsi, i bambini in braccio alle loro mamma e ai loro papà ormai, erano rimasti in pochi.
All’improvviso insieme alle lacrime, Sibilla sfoggiò un sorriso più grande della sua stessa faccina. Eccola, bellissima, la su mamma.
Si abbracciarono come forse non fecero mai più.
Passarono gli anni della scuola materna.
Arrivarono le elementari ma, ormai Sibilla aveva capito che alla fine tornava sempre dalla sua mamma così, cominciò ad amare il mondo della scuola.
Stava crescendo, troppo in fretta e, ogni tanto ripensava a quel preciso episodio. L’incontro con suo padre.
Quel giorno, lei, la sua mamma e la nonna materna viaggiarono in treno per arrivare in una città sconosciuta, fecero il loro ingresso in un edificio e lì, c’erano degli uomini vestiti in modo strano, di blu, e avevano tutti una pistola, come quelle che si usano nei film, pensò Sibilla.
Una volta dentro questi uomini cominciarono a fare alcune domande, prima alla sua mamma e poi alla nonna, di tanto in tanto guardavano anche lei, piccola e disorientata. Presero i sacchetti che la sua mamma portò da casa, controllarono tutto ciò che contenevano e, poi alla fine, uno di questi strani uomini disse di seguirli.
Sibilla era così piccola, era agitata, c’erano porte di ferro che per lei erano gigantesche e che non aveva mai visto. L’uomo che le accompagnava teneva tra le mani un grande mazzo di chiavi e, ai suoi occhi non sembravano delle chiavi comuni, erano enormi.
Entrarono in una stanza, era tutta bianca , c’erano delle grandi finestre chiuse con delle sbarre di ferro. Un lungo tavolo di marmo suddiviso al centro da un vetro che, anch’esso ai suoi occhi pareva diverso dai soliti vetri, era spesso, strano.
Ad un certo punto un rumore meccanico di aperture porte, richiamò la sua attenzione e, cominciarono ad entrare degli uomini in fila indiana, Sibilla rimase un pò di stucco perchè non era vestiti di blu, e si sedettero di fronte alle persone che, come lei erano andate a trovarle.
Di fronte a lei e alla sua mamma si mise a sedere un uomo, bello, occhi azzurri come il cielo e la carnagione uguale alla sua.
Era il suo papà. Sibilla aveva 4 anni.
Passò del tempo dopo quell’incontro, giorni e persino anni.
Sibilla aveva cominciato le scuole elementari da un bel po’ di tempo, ormai. Un giorno, arrivò da scuola e, aprendo la porta di casa sentì la voce di un uomo, non era affatto suo fratello. Era il suo papà.
Entrò in cucina e rimase basita, la tavola era apparecchiata e un profumino di sugo appena fatto le fece brontolare lo stomaco. Mangiarono tutti insieme, Sibilla non disse una parola per l’imbarazzo e la stranezza della situazione. La sua mamma una volta finito di sistemare andò da lei e, scegliendo parole dolci e semplici le spiegò che suo padre era tornato per restare.
Passarono giorni, mesi e Sibilla iniziò a credere che suo padre era l’uomo migliore del mondo, il suo principe azzurro. Nonostante tutto.
Come ogni giorno tornava da scuola allo stesso orario, la sua mamma aveva ripreso a lavorare e lei, ormai era abbastanza grande per arrangiarsi da sola ma non quel giorno.
Sua mamma non era al lavoro, era a casa e, piangeva.
Quella sera a tavola sedevano solo in tre, Sibilla con la sua mamma e suo fratello. Di suo padre nessuna traccia e così, si parlò d’altro. Sua mamma non toccò cibo.
Un giorno, tornando da scuola,vide un uomo all’interno di un auto, insieme ad una donna.
Quell’uomo era suo padre ma, quella donna, non era sua madre.
Sibilla scoppiò a piangere, era disperata, ormai era una giovane ragazza abbastanza matura e soprattutto tanto intelligente.
Quell’assurdo episodio cambiò tutto, fu l’inizio di una strada dolorosa, penosa e piena di sofferenza per tutta la famiglia ma, in particolare per Sibilla.
Era una ragazzina diversa dalle altre, non seguiva la moda perchè la condizione economica non glielo permetteva, anche se la sua mamma era arrivata a svolgere tre lavori al giorno, non usciva molto spesso tranne qualche pomeriggio, insieme al fratello dove restava seduta a guardarlo mentre lui giocava a calcio con i suoi amici.
Amava la scuola, era l’unica certezza solida, le piaceva la storia che le permetteva di essere, almeno con la mente, in luoghi incantevoli. Amava l’arte che le permetteva di conoscere segreti e abitudini degli artisti e delle loro opere.
Ad un certo punto cominciò ad essere ancora più solitaria quando, un giorno guardandosi allo specchio, ai suoi bei capelli mossi dal vento, stava accadendo qualcosa. Si lavò i capelli come faceva ogni volta ma, quel giorno pettinandoli, vide che grandi quantità di ciocche si staccavano così facilmente da suscitare in lei una sorta di paralisi mentale e fisica, un trauma. Venne in seguito visitata dal medico di base, perchè uno specialista richiedeva un costo.
Alopecia. Nessuna spiegazione, nessun conforto. Niente.
Sibilla cresceva, i suoi occhi diventarono spenti, tristi.
Cresceva nascondendo il dolore e la vergogna per come meglio poteva. Diventò una donna. Senza sapere come fare e cosa fare, andava avanti.
Il padre, tornò improvvisamente a far parte della loro vita, ormai lei non si poneva più nessuna domanda a riguardo e, nonostante tutto non si preoccupò di recuperare minimamente il tempo perduto.
Quando i suoi genitori erano entrambi a casa, li sentiva litigare.
La mamma lavorava tutto il giorno e, il padre passava le giornate con gli amici al bar, senza tralasciare il suo hobby preferito, le donne. Non si sa per quale motivo o calcolo matematico ma, ogni due anni circa cambiava amante e Sibilla lo sapeva, sempre.
Crescendo si era resa conto che tra lei e suo padre c’era una sintonia incredibile, e la cosa la spaventava parecchio.
Erano identici. Sibilla sapeva quello che lui pensava e, che avrebbe fatto. Questa sintonia e somiglianza però, le aveva permesso di crescere e di non diventare come lui.
Il suo principe azzurro non le faceva più brillare gli occhi, la faceva soffrire e piangere ogni giorno.
Sibilla ormai era del tutto autonoma, una giovane donna e, finite le scuole superiori, lavorava a pieno ritmo perchè voleva avere quello che una donna della sua età meritava.
Aveva scoperto l’amore e poi la sofferenza che può provocare quando tutto finisce.
Passarono gli anni, Sibilla si era sposata. Aveva finalmente trovato l’amore della sua vita e, da questo nacque un bimbo.
Si era finalmente creata la sua vita, la sua indipendenza e rispetto, quello che sognava da tempo e, soprattutto lontano dai suoi genitori.
Ogni tanto le capitava di rivederli e, le sembravano rinati, cene al ristorante, casinò, macchine nuove e, Sibilla non volle mai sapere nulla di più.
Il rapporto s’incrinò del tutto, Sibilla era arrabbiata, tanto arrabbiata. Era incazzata nera, perchè per colpa dei suoi genitori non ha potuto frequentare l’università, non ha potuto vivere come un’adolescente, ha dovuto rinunciare a tante cose, non è stata amata come un figlio ha il diritto di essere amato.
Per colpa loro i suoi occhi non sono più gli stessi.
Nonostante tutto, Sibilla viveva una vita umile, certamente felice e piena d’amore.
Oggi Sibilla sta bene, ama e si sente amata da suo marito e da suo figlio.
Hanno un meraviglioso progetto ma, questa è un’altra storia.
LaManu