“Sozaboy” è un romanzo del nigeriano Ken Saro-Wiva arrivato faticosamente in Italia nel 2005 per Baldini&Castoldi, sotto la cura di Itala Vivan e nella traduzione di Roberto Piangatelli, ma scritto nel 1985. Si ispira alla guerra civile nigeriana della fine degli anni ‘60, esperienza vissuta in prima persona dall’autore stesso.
Ken Saro-Wiva era anche editore e uomo di teatro e televisione e perciò è stato un personaggio estremamente popolare. È stato co-fondatore del primo movimento africano per la tutela delle minoranze residenti in Africa nei territori sfruttati dalle multinazionali petrolifere, in particolare per la sua etnia, quella ogone.
Trama di Sozaboy
Mene è un ragazzo kenyota che è contento di partire soldato perché nel suo paese la visione della guerra è molto naive. Anche sua moglie desidera essere sposata a un soldato.
Così, si allontana da una Dukana infestata dalla corruzione e si ritrova inghiottito in meccanismi ancora più orribili e difficili da penetrare.
Recensione
Non ricordo più da dove venisse, la recensione che mi ha spinto, alcuni anni fa, ad acquistare d’impulso “Sozaboy”. So soltanto che, misteriosamente, poi ho sviluppato una sorta di diffidenza verso questo romanzo e mi sono rimproverata per aver fatto affidamento su un consiglio di lettura che mi era arrivato una volta e poi mai più.
Di questo libro, infatti, non si parla mai. Eppure costituisce un classico della letteratura post-coloniale.
E sapete perché non se ne parla mai? Nonostante “la guerra è la guerra?”, come ripetono spesso i personaggi? Perché ha avviato un filone di denuncia. È stato il primo a “mostrare” le pance piene d’aria dei bambini del Biafra come spiega Roberto Saviano nella prefazione all’edizione Baldini&Castoldi 2014. Poi, però, è stato surclassato da romanzi successivi, meno sfidanti dal punto di vista linguistico e più fruibili.
“Se tu vedessi come i loro occhi sono scavati dentro alla testa, e i capelli sono diventati del colore dell’olio di palma e indossano degli stracci immondi e le ossa gli tremano tutte dentro al corpo. Te lo dico, se tu vedi tutte queste cose e ci pensi su proprio bene, lo capisci subito che la guerra è un gioco molto brutto e stupido”
La sfida maggiore di “Sozaboy” (“Soldier boy”) è nella lingua. Come dichiara anche il sottotitolo della versione originale, è un “rotten English”, un misto tra pidgin, inglese sgrammaticato e inglese standard. Quindi, se da una parte la traduzione in francese – lingua condivisa in alcuni Stati africani – è riuscita a rendere questo linguaggio “marcio”, dall’altra la traduzione in italiano ha fatto il meglio che poteva, e lo ha fatto bene, ma questa parte di provocazione si è probabilmente un po’ persa. La lettura infatti è perfettamente fruibile e comprensibile, grazie anche a un efficiente glossario posto in fondo al libro.
“E se uno muore, è meglio per lui, piuttosto che continuare a vivere in questo mondo malvagio”.
Questo non giustifica, a mio parere, il fatto che insieme alla provocazione linguistica si perda anche il romanzo, soprattutto perché è un romanzo ricco di introspezione, impotenza, semplicità. E chi lo ha scritto ha ricevuto una condanna a morte per essere stato il primo ad alzare la voce contro le ingiustizie.
La causa di Ken Saro-Wiva
Sapete cosa chiedeva, Ken Saro-Wiva? Che le compagnie che depauperavano il territorio dei popoli africani, inquinandolo e rendendolo inservibile con continue fuoriuscite di petrolio, riconoscesse loro almeno il 50% dei guadagni, per garantire un’altra fonte di sostentamento. Invece solo all’inizio di quest’anno la Shell ha annunciato un’operazione di “disinvestimento progressivo”; l’attuale partner di maggioranza assoluta resta il governo, e le terre restano inquinate e inservibili.
Ken Saro-Wiva è stato frettolosamente impiccato con altri militanti nel 1995, per evitare, invano, che insorgessero nuovi movimenti di protesta. La causa, infatti, è stata sposata dai maggiori organismi di tutela dei diritti umani del mondo.
Il 10 novembre 2025 ricorrerà il trentesimo anniversario dell’impiccagione di Ken Saro-Wiva.