“Tu sei l’erba e la terra” – Antonia Pozzi


Voto: 5 stelle / 5

Nel mondo della poesia trovare le opere di una donna vissuta all´inizio del ventesimo secolo è una cosa preziosa. Lo diventa ancor di più leggendo i versi di Antonia Pozzi raccolti ne “Tu sei l’erba e la terra” (Garzanti 2020) alla luce dei suoi percorsi di vita.

Cos’è Tu sei l’erba e la terra

Immaginarsi una giovane donna, di famiglia benestante e nobile, con un futuro predestinato e roseo, fatto di agi e di sentieri spianati, che non segue la strada tracciata per lei, ma che si costruisce la propria, anche a costo di pesanti litigi con i genitori, spiega il significato dei suoi scritti.
Scritti pieni di amore, principalmente per il suo professore di greco, di sentimento, di riflessioni intime e profonde, scritti che nascono scavando l´anima, un´anima inquieta ma rocciosa e forte come le montagne tanto amate. Scritti che la poetessa non ha mai visto pubblicati.
Le montagne e il quieto ambiente della villa di famiglia a Pasturo sono lo scenario prediletto delle sue poesie, con amabili descrizioni di paesaggi silenziosi, solitari, dove trovare spazio per l’introspezione, la speranza e la fede anche dentro la laicità.
Donna colta e dotata di una fervida intelligenza, la Pozzi ha modo di frequentare gli intellettuali del tempo e di approfondire studi legati alla letteratura e alla filosofia, laureandosi brillantemente, coltivando molteplici interessi come la fotografia e le escursioni in bicicletta .
Le sue idee aperte verso il mondo contrastano però con il clima familiare che non vede di buon occhio la sua relazione con il professore, che tenta di chiudere in un ambiente ristretto la giovane Antonia e la sua penna.

Recensione

La forte insofferenza porterá la vita della scrittrice a interrompersi in maniera tragica e prematuramente e, coerentemente con il suo stile rigido e conformista , la famiglia negherá il suicidio della giovane, mascherando la morte dietro ad una polmonite e distruggendo il testamento lasciato.

Vivo della poesia come le vene vivono del sangue”

In questa frase splendida forse é racchiusa la miglior chiave di lettura per avvicinarsi agli scritti di Antonia Pozzi: la poesia , la parola come vita, come mezzo per riflettere, come specchio per guardarsi , per conoscersi e riconoscersi.
A tratti sembra di trovarsi a leggere versi di D´Annunzio, come nella poesia “Pace” dedicata ad Antonio Maria Cervi, dove l´incipit e i verbi all´imperativo ricordano la splendida “Pioggia nel pineto”.

Ascolta: come sono vicine le campane!
Vedi: i pioppi, nel viale, si protendono per abbracciarne il suono.

Nei versi di Antonia si legge inquietudine , un senso di irrequietezza e la voglia e il bisogno di approdare verso la serenitá,

Desiderio di cose leggere
nel cuore che pesa
come pietra dentro una barca

Per raggiungere la quiete, la consapevolezza di dover attraversare il dolore, la solitudine, l’incomprensione, l´inverno dell´anima.

Scende la notte
nessun fiore è nato
è inverno
anima
è inverno.

La bellissima malinconia quasi leopardiana che descrive la lacrima come una lente per raddoppiare le stelle.

Col mio pianto vitreo, pari a lente che non pecca, io specchierò e raddoppierò le stelle.

Non mancano ricercatezze nelle parole, piccole perle di stile che rendono omaggio alla poesia in quanto tale:

siimi tu il vento, siimi tu il cielo

La bellezza di questo imperativo associato al pronome personale diventa esortativa come una preghiera.

Ma il ghiaccio inazzurra i sentieri

Con una semplice parola , viene espressa l´immagine del ghiaccio che intrappola la natura dentro al suo potente azzurro.

Anche se in alcuni scritti sembra di trovare lo stile di altri autori, nella ricercatezza dannunziana di alcuni termini, nella dolce malinconia di Leopardi, nel poetare asciutto di Montale, ogni poesia raccolta in “Tu sei l’erba e la terra” porta solo il nome di Antonia Pozzi, una donna probabilmente vissuta in un’epoca che non l´ha saputa accogliere e comprenderne la profonditá d´animo e la brillantezza intellettuale.

In questa poesia la sua descrizione migliore , bella come lei, la più bella tra le poetesse dimenticate.

Io vengo da mari lontani –
io sono una nave sferzata
dai flutti
dai venti –
corrosa dal sole –
macerata
dagli uragani –

io vengo da mari lontani
e carica d’innumeri cose
disfatte
di frutti strani
corrotti
di sete vermiglie
spaccate –
stremate
le braccia lucenti dei mozzi
e sradicate le antenne
spente le vele
ammollite le corde
fracidi
gli assi dei ponti –

io sono una nave
una nave che porta
in sé l’orma di tutti i tramonti
solcati sofferti –
io sono una nave che cerca
per tutte le rive
un approdo.
Risogna la nave ferita
il primissimo porto –
che vale
se sopra la scia
del suo viaggio
ricade
l’ondata sfinita?

Oh, il cuore ben sa
la sua scia
ritrovare
dentro tutte le onde!
Oh, il cuore ben sa
ritornare
al suo lido!

O tu, lido eterno –
tu, nido
ultimo della mia anima migrante –
o tu, terra –
tu, patria –
tu, radice profonda
del mio cammino sulle acque –
o tu, quiete
della mia errabonda
pena –
oh, accoglimi tu
fra i tuoi moli –
tu, porto –
e in te sia il cadere
d’ogni carico morto –
nel tuo grembo il calare
lento dell’ancora –
nel tuo cuore il sognare
di una sera velata –
quando per troppa vecchiezza
per troppa stanchezza
naufragherà
nelle tue mute
acque
la greve nave
sfasciata –

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