Dieci milioni di euro è il riscatto sborsato da una coppia di industriali torinesi per ottenere il rilascio della piccola Nina Maria. È il prologo di “Uccidere, qualche volta”, nuovo romanzo di Rosa Mogliasso (SEM editore, marzo 2023). Una lettura spassosa in cui al netto del titolo il morto non ci scappa, il buonumore sì.
Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea inviata in omaggio.
Trama di Uccidere, qualche volta
Lungo un viale alberato che conduce a una dimora signorile, qualcuno si accinge a riconsegnare ai genitori la loro unica figlia di 5 anni, vittima di un sequestro a scopo estorsivo. Un ampio flashback ricostruisce l’accaduto.
Dimenticate un ricongiungimento strappalacrime alla Maria De Filippi o una bimba burrosa come Sherley Temple. La piccola, dell’attrice prodigio ha solo i boccoli d’oro. Viziatella petulante, monopolizza il verbo voglio. La mamma compra a suon di regali l’obbedienza della figlia che – afferrato il nesso consequenziale tra piagnisteo e raggiungimento dell’obiettivo -, sa come alzare la posta in gioco azzerando i margini negoziali. Il babbo ha l’autorità del due di picche a briscola, visto che è la consorte a tirare avanti la baracca. È chiaro che come genitori non giocano nella stessa squadra. Come coppia sono scivolati nel piano inclinato dell’indifferenza, cercando distrazioni altrove. Un matrimonio tra denaro e prestigio titolato, il loro.
Il regista di questa commedia noir è Totò Lo Cascio, brillante studente che ama ficcanasare nelle faccende altrui. Chissà mai trovi qualche vantaggio. Infatti il suo motto è 《Quello che non ti viene dato, con un po’ di spregiudicatezza te lo puoi prendere.》 L’ironia con cui classifica la bussola del desiderio ci permette di cogliere subito il mood della narrazione. Il suo sogno proibito è il taglialegna, un prototipo che il pragmatismo d’oltreoceano etichetta come “American bear”. Fuor di metafora faunistica, parliamo di uomini montagna, maschi dal tonnellaggio impegnativo.
Colta al volo l’occasione per dare una sterzata alla sua vita, Totò decide di fare “il link tra due realtà cui non appartiene”: la Torino bene e la periferia, dove i ricchi piangono e la classe operaia non va in paradiso. Sul resto della vicenda, bocca cucita. Però vi anticipo che i bambini giocano un ruolo tutt’altro che marginale, a ricordare che ci guardano sempre, anche quando non siamo con loro.
Recensione
Giunto a un binario morto dell’esistenza, un luna park di personaggi cerca la felicità, estranea a quell’aspirazione irrealizzabile che ci terrebbe in ostaggio come la filosofia ci ha insegnato. I maschi sembrano ingolfati in crisi identitaria. Le femmine agiscono con una risolutezza maggiore, sfoderando offensive e simmetriche vendette. Si muovono tutti in un orizzonte elastico dove barare è lecito, pur di ottenere l’oggetto del desiderio. Se la felicità è un muscolo volontario, perché non ingegnarsi un po’?
La cerniera ironica tra intrighi sentimentali e criminali mi ha ricordato Francesco Recami e Marco Malvaldi. Fitti i dialoghi, essenziali le descrizioni, ritmo serrato. La trama è sorretta da britannico aplomb e dall’intelligenza di chi prende la vita con leggerezza. Benché alcune scene hot lascino poco spazio all’immaginazione, non c’è ombra di volgarità. E per fortuna nemmeno quello spirito inclusivo glamour che va per la maggiore.
L’ ambientazione torinese si presta a un intreccio imprevedibile. Infatti mentre invita alla Logica con il suo rigore, la città della Mole Antonelliana apre anche le porte al Caso. Basta saperlo pilotare e mettersi una mano sul cuore al momento giusto.