“Un amico sincero”

Mario, dandosi un’altra occhiata allo specchio, non nasconde una certa soddisfazione. Vero che il fisico non è propriamente atletico ma, diamine, piuttosto che gracile meglio apparire e sentirsi uomo di sostanza. Poi, a 59 anni suonati, un po’ di compiacimento o te lo procuri da solo o non sperare che ti arrivi da altri.

I pasti nelle trattorie di passaggio, col suo lavoro di autotrasportatore, erano stati generosi nel distribuirsi in modo equilibrato un po’ dappertutto, non privilegiando né dimenticando alcuna parte della corporatura. Proporzionato: ecco il termine giusto.

La camicia nuova, con la sua righina celeste pervinca, rivitalizzava pure il grigio smorto dell’occhio. Per il completo aveva riesumato quello blu – il peggior investimento della sua vita l’aveva considerato – acquistato per il matrimonio della figlia di sua sorella e poi relegato in fondo all’armadio, tutto incellofanato.

Era stato allora, quando aveva chiesto alla Santina, donna che due volte la settimana curava il suo appartamento da scapolo, o single come è obbligatorio dire, di dare una rinfrescata all’abito, che lei gli aveva rivolto la prima occhiata sospetta.

– Per fare che? – era la domanda che si era trattenuta prima che le scappasse di bocca. Santina, rude, amabile come un mal di denti, il lavoro sapeva farlo, niente da dire: buttava all’aria quelle stanze, preparava i soliti piatti, le Tupperware accatastate in congelatore. Soprattutto conosceva le abitudini di Mario. E a lei le abitudini piacevano: erano come un capottino confortevole, rassicurante. Che nessuno si azzardasse a cambiare.

La seconda occhiata era giunta quando le aveva chiesto di stirargli la camicia nuova.

Che razza di novità era quella? Quando mai si era fatto stirare una camicia nuova?

Era successo invece che, proprio l’ultima volta che Mario ne aveva acquistata una, l’avesse indossata con spilli e colletto rigido di cartone: così l’aveva trovata, già usata, nel cesto della roba da lavare.

Ma aveva passato il dovuto quando aveva osato domandarle di cambiare le lenzuola quella mattina.

Cambiare le lenzuola? Stavolta le parole erano proprio uscite di brutto:

– Non se ne parla proprio. Già fatto. Quattro giorni fa. Non serve. – lapidaria la Santina, quando ci voleva.

Ma Mario, che in talune occasioni ricordava chi fosse il datore di lavoro e chi il subalterno, non si era fatto mettere i piedi in testa. Era pur vero che probabilmente sarebbe stato un cambio sprecato; un utilizzo alquanto improbabile, ma come tuonava la vecchia nonna, che riposi in pace: – Mai farsi trovare impreparati alla guerra. Anche se di guerra non si trattava, anzi, ma per sicurezza, mutande, canottiera, camicia fresche di negozio e lenzuola profumate di bucato.

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“La reproduction interdite” di René Magritte

– La speranza è l’ultima a morire – proferiva la nonna. E lui, quella sera, qualche speranza l’aveva.

L’incontro era avvenuto nella sala d’attesa del medico.

Seduta proprio sulla sedia vicina, guardando e riguardando certi esami che aveva in una cartellina, appariva disinteressata a tutto ciò che la circondava. L’attesa andava per le lunghe; Mario si era buttato: qualche frase sul tempo, quello meteorologico e quello dei turni per le visite.

Propriamente bella non si poteva dire, ma giovanile, con una certa classe, portamento distinto, tono di voce pacato, quando apriva bocca, perché stava – come dire – un po’ sulle sue.

Lei doveva mostrare degli esami. Ah, sì, anche lui, ma una cosa vaga; neanche ad un amico fidato avrebbe confidato di aver iniziato ad usare il Prostamol.

Il giorno dopo l’aveva incontrata al supermercato. Incontrata non proprio: l’aveva casualmente intravvista che entrava, mentre lui già caricava in macchina la provvista settimanale. Detto fatto, senza neanche pensarci: aveva scaraventato la roba rimasta nel baule ed era ripartito, così come appena arrivato. Doppia provvista settimanale, anzi anche tripla perché era stato necessario indugiare più del previsto tra gli scaffali prima di imbattersi. Alla Santina, non avvezza a trovare in casa rifornimento supplementare, avrebbe raccontato che era la settimana del 3 x 2: peccato perdere l’occasione.

– Che sorpresa! Ma guarda il caso, a volte: ritrovarsi anche oggi. Eh, devo pensarci io alla spesa. Vivo solo.

Chi passava nelle vicinanze avrebbe avvertito un’inflessione, un cambio di tono, quasi un sospiro sommesso accompagnare l’ultima frase.

Lei invece magari doveva occuparsi della famiglia, dei figli…

No, no: niente figli. Forse del marito? Neanche marito.

E lì era scattato il suono festoso di campane nella testa di Mario. Anche se la nonna pronosticava: – Chi dice donna, dice danno.

Ma proclamava anche: – La fortuna aiuta gli audaci!

Insomma, c’era stato un aperitivo, all’uscita del supermercato, purché assolutamente analcolico aveva esplicitato in modo categorico lei.

Così Mario, tra un sorso e una patatina, aveva buttato là, per caso, che la solitudine si sente ed è una brutta bestia, che aveva un bell’appartamento, di proprietà, certo, la donna di servizio, un buon lavoro. Meno male che alla pensione non mancava molto, e sarebbe stata una pensione discreta aiutata dai piccoli risparmi di una vita, poi magari qualche viaggetto. In pratica, con parsimonia studiata, una frase ora e una dopo, l’aveva informata, fornita di tutto quel che era necessario sapesse.

Lei, compassata ma non distante, altera ma non del tutto indifferente, riservata ma non imperturbabile, non si era tirata indietro quando le aveva chiesto il numero di telefono. Se col tempo e con la paglia – come sentenziava la nonna – maturano le nespole, magari, chissà, forse…

Dopo due telefonate in cui manifestava sì il piacere di sentirlo, ma non esprimeva altro, si era buttato: un invito a cena. Perché no?

Sì, ma niente di pesante, qualcosa di leggerino; era d’accordo con lei, anche i suoi esami dicevano di stare attento al colesterolo: meglio evitare un agriturismo, quei piatti pieni, trasbordanti di grassi. Mario di trattorie ne aveva frequentato tante, ma localini di una certa levatura, a parte quella volta del matrimonio della figlia della sorella…

Aveva passato la sera su internet: home dei vari ristoranti, fotografie dell’ambiente, recensioni lette giudiziosamente una ad una, voto di tripadvisor. Il prezzo? Ininfluente: aveva risparmiato sul completo e, con tutte quelle provviste in casa, di fare la spesa per un po’ di giorni non se ne parlava.

L’aveva trovato: posto con la sua eleganza, tavolini staccati quel tanto da consentire una certa intimità, magari quella di una dichiarazione con tutti i crismi. Perché perdere tempo, alla sua età poi?

Quindi si era attivato con gli acquisti. Bando all’avarizia; anche un bel mazzo di fiori poteva starci, celato alla vista nel baule della macchina, da tirar fuori dopo cena; poteva essere il dettaglio decisivo per l’utilizzo di quel benedetto cambio di lenzuola, causa del battibecco con la Santina.

Un ultimo sguardo allo specchio dunque, un’aggiustatina al riporto: meglio il trasferimento da destra a sinistra che da dietro in avanti come aveva sistemato i capelli nel primo tentativo. Nell’uscire di casa, mentre la mano tasta il portafoglio, ben guarnito nel taschino, il piede caccia sotto il mobile le pantofole di stoffa pesante, quadrettata che tiene a portata di piedi vicino all’ingresso.

Lei si fa trovare pronta, fuori di casa, all’indirizzo dato. Appare ancora meglio alla luce dell’imbrunire: scarpe col tacco, gonna a tubo della lunghezza giusta, giacca sobria e, salendo, rossetto, trucco sapiente senza strafare, capelli con nuove sfumature. Anche l’espressione, quasi rilassata, fiduciosa. A lui il compito di non bruciare l’occasione, ricordare almeno quattro, cinque regole tra le trentadue specificate sul sito “www.galateopertutti.it”che si era letto. Misurate le parole durante il tragitto: l’aggancio sempre il tempo, da quello meteorologico per iniziare, a quello filosofico sulla vita/che/scorre/veloce/non/ti/accorgi/neanche/che/passa.

Il ristorante si presenta bene con quel minimalismo nell’arredo che fa tanto tanto raffinato.

galateoAllentata la tensione, sfogliano il menù: per iniziare due fettine di bresaola, due proprio, per non appesantirsi, su un lettino di rucola e aceto balsamico, un primo leggero: benissimo il consommè della casa. No, niente secondo, il contorno magari. Verdurine di stagione? Si può abbondare: sia fresche che grigliate. Per strafare il dolce, magari uno solo da dividere in due. E da bere? Il sopracciglio di lei che si alza: niente alcolici, acqua temperatura ambiente. Mario sta ponendo mentalmente sul piatto della bilancia il quartino che si berrebbe volentieri e sull’altra l’estrema vulnerabilità della situazione in corso: opta a malincuore per la seconda. Vale la pena rischiare e, per un capriccio, mandare tutto all’aria? – Il gioco deve valere la candela – asseriva la nonna.

L’atmosfera viene interrotta all’improvviso da un mormorio, che cresce, cresce, che si trasforma in frastuono, proprio alle sue spalle da dove gli arriva una pacca, ma una pacca vigorosa, tale da farlo sobbalzare.

– Mario, sei tu? Dov’eri finito? Lazzarone, figlio d’un cane. Ti trovo bene brutta canaglia. Vi presento Mario, non fatevi ingannare dall’aria di brava persona. Mi hanno invitato dei parenti. Vecchia volpe! E ‘sto pezzo di femmina non ce la presenti? Insalata? Da quando mangi insalata? Bevi acqua? Non ci posso credere. Da quanto Mario non ci si vede, eh?

– E perché ora ?- si chiede in cuor suo il pover’uomo: ritrovarsi quell’ex compagno di lavoro, qui, proprio stasera?

Mario borbotta e tartaglia, ma suoni veri, decifrabili, stentano ad uscire; ha le lacrime agli occhi, non sa se sia per l’aceto balsamico, per la foglia di rucoletta andata per traverso, per la botta sulla spalle o per altro.

– Qui, ci mettiamo qui, così vi lasciamo come si dice, tetè a tetè – e giù un’altra botta sulla spalla – adesso che ti ho trovato però non ti abbandono, Mario, così ogni tanto ci diamo un’occhiata.

Lei, invece – chiusura ermetica delle labbra e increspamento di rughette in fronte – di un’occhiata già non degna né l’uno né l’altro.

Mario tenta di spiegare, di riparare, di ricostruire, ma avverte appieno la fragilità della situazione che, per svilupparsi, avrebbe bisogno di tutte le attenzioni possibili e invece… Lo sguardo di lei, piuttosto che incrociare quello di lui, preferisce scorrere sul muro e contare le linee della greca sulla parete, da destra a sinistra per poi ricominciare da sinistra a destra.

Al momento del consommè, il brodo non finisce più: il sudore che inizia a cadere copioso dalla fronte di Mario contribuisce probabilmente ad alimentarlo. Un supplizio.

Anche perché l’amico, in modo proporzionale al consumo di Montalcino che fa bella mostra sulla sua tavolata, altro che quartino, aumenta la confidenza, torna all’attacco, aggiungendo aneddoti di quella bella, sincera amicizia. Ogni tanto una grassa risata, una frase che si blocca all’improvviso “no davanti alle belle signore non si può dire ” ed un’altra pacca, sempre su quella spalla che ormai gli fa prendere una certo sbilanciamento nella corporatura, oltre ad aver contribuito alla completa resa del riporto, a dimostrazione che non vale la pena intralciare le leggi della fisica. Ora, mentre il poveraccio tenta di togliere il peperone grigliato che, per un colpo di tosse, ha trovato appiglio proprio lì sulla camicia nuova, dove forma un contrasto indovinato azzurro – giallo, finito di farfugliare, si arrende ad un dignitoso silenzio.

Il dolce no, non lo vogliono: lo stomaco, neanche quello di Mario, pur abituato alle trattorie e alla cucina corposa della Santina, riesce più ad accettare nulla. Si alzano in un silenzio pesante; Mario, guadagnando l’uscita, viene rincorso dalle ultime parole, lievemente biascicate:

– E fatti sentire adesso che ci siamo rivisti; peccato lasciar andare una così bella, sincera amicizia!

In macchina neanche il tempo offre più spunto. Lei, trincerata nei suoi pensieri, vuole che passi in fretta per ritornare a casa, lui ha capito che il suo di tempo, quello che aveva a disposizione, l’ha definitivamente, brutalmente beffato.

Neanche per errore i loro sguardi si incrociano: hanno altre direzioni in cui guardare, ora e per sempre.

Una settimana dopo Mario è ancora su internet: cerca prezzi, offerte e indirizzo di un altro supermercato, un po’ distante; sul tavolo la raccolta punti del primo, quasi completata, da regalare a qualcuno.

Dell’ambulatorio si è già informato: la settimana prossima sarebbe andato all’Ulss per il cambio del medico.

Aspettando il battesimo del pronipote, figlio della figlia della sorella di Mario, il vestito penzola rassegnato dalla sua gruccia, dopo essere stato spazzolato con vigore da una Santina soddisfatta, adesso che tutto è tornato sotto il suo vigile controllo.

I fiori? La nonna, buonanima, non avrebbe certamente immaginato che con il proverbio che sempre gli rammentava: – Con un amico certo, si parla a viso aperto – si sarebbe procacciata dei fiori simili. Anche se ora cominciano a lasciar cadere tristemente i primi petali sul marmo bianco, mai, proprio mai ne aveva avuti di così belli.

Loretta Casagrande

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  1. annamaria gazzarin 28/04/2020

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