“Una scrittura femminile azzurro pallido” è un ampio racconto di 120 pagine, pubblicato per la prima volta a Buenos Aires nel 1941, valorizza le capacità introspettive di Franz Werfel.
Infatti presenta con perspicacia non priva di inganni della coscienza autoassolutori, dal punto di vista dell’adultero protagonista ormai maturo, una parentesi di infedeltà coniugale risalente alla giovinezza,
Il testo è disponibile sia nell’edizione Adelphi 1997 con la traduzione di Renata Colorni, sia nell’edizione Garzanti (2016) con quella di Nicoletta Giacon.
L’autore
Werfel è uno scrittore e drammaturgo austriaco attivo nella prima metà del Novecento, ebreo di nascita ma cristiano per fede, considerato il massimo esponente della letteratura espressionista in lingua tedesca.
Figura poliedrica, fiancheggiatore dell’Espressionismo fino agli anni Venti, autore di romanzi storici e di racconti psicologici, fermo restando la drammaturgia il versante artistico da lui privilegiato.
Per le sue origini ebraiche e l’antimilitarismo, nel 1938 emigra prima il Francia e poi negli Stati Uniti.
Trama di Una scrittura femminile azzurro pallido
Un frac ed una missiva sono gli estremi della vita sociale del protagonista.
Il primo gli consente l’ingresso nell’alta società, definito con cinismo “parto sociale”. La seconda sembra destinata a compromettere una posizione invidiabile, conquistata con sacrifici, determinazione e la benevolenza della sorte.
L’ uomo in frac
Il giovane Leonida, il cui nome velleitario contrasta con le umili origini, riesce a debuttare nell’alta società viennese degli anni Trenta grazie a un frac, ereditato inaspettatamente da un compagno di studi morto suicida.
Prestanza fisica, teutonica perseveranza, amicizie giuste e la fortuna di essere concupito da Amélie, la bella ereditiera più ambita di Vienna, lo inseriscono definitivamente negli ambienti che contano.
A cinquant’anni Leonida è un alto funzionario al Ministero per il Culto e per l’Istruzione. Un uomo appagato, ricco, invidiato benché il matrimonio non sia stato allietato dai figli, di cui peraltro i coniugi non sembrano patire la mancanza.
Segreti e bugie
A ridosso del 50esimo compleanno quest’uomo di successo riceve una lettera dalla grafia femminile a lui ben nota. È la seconda che riceve, ma solo questa volta, pur volendola strappare, la legge.
Impostazione burocratica conforme a un contenuto d’ordinaria amministrazione. Lessico formale per caldeggiare una raccomandazione.
Eppure è quanto basta per minare l’io che il protagonista ha costruito, quel sé sociale nel quale si identifica tutta la sua esistenza.
Marito, moglie, amante
Leonida è vanesio, egoista, bugiardo. Simulatore e dissimulatore, “un truffatore travestito da gentiluomo”, “un seduttore di cameriere in libera uscita”.
Il suo tratto distintivo, insieme alla vigliaccheria, è la “sprezzatura”, la stessa teorizzata dal Castiglione nel Cinquecento. Di cosa si tratta?
Di una disinvoltura così a lungo messa a punto da diventare un abito mentale, l’unico. Perché la gradevole naturalezza e spontaneità distaccata con cui si muove, sicuro, nel bel mondo sono state costruite a tavolino.
Amélie è capricciosa dai tratti nevrotici, innamorata come il primo giorno e folle di gelosia del marito che idolatra. Le sue energie sono profuse a contrastare, pur bellissima, i segni del tempo per continuare a piacere all’uomo che ha voluto a tutti i costi.
Un modello di fedeltà coniugale cieca, perché Amélie non coglie quanto il matrimonio sia sabotato in partenza dal bisogno di riscatto sociale del marito.
Vera, l’amante figlia di un medico ebreo, è una docente di filosofia avvezza fin dall’adolescenza ad amare lo studio per coltivare il dubbio.
Negli ampi monologhi in cui ripercorre la sua relazione con Vera, consumata nel primo anno di matrimonio, Leonida dichiara: “Le sei ineffabili settimane che ho trascorso con Vera sono state l’autentico matrimonio della mia esistenza”.
Un uomo come lui può conoscere il significato dell’amore? Abituato a mentire, può essere sincero?
Recensione
La natura riflette sempre uno stato d’animo:
“In un batter d’occhio, nel tempo brevissimo durante il quale a causa della lettera di Vera la sua vita si era trasformata da capo a fondo, anche le condizioni meteorologiche di quella giornata di ottobre erano sorprendentemente mutate”
Un racconto interessante ricco di spunti.
Un esempio di ghosting ante litteram. La storia di un arrampicatore sociale. La fenomenologia di un adulterio ricostruita a posteriori. Una riflessione, in relazione a Vera, sull’arte di attendere immortalata anche da Sándor Márai, coevo di Franz Werfel. Avete letto “Le braci“?
Una pagina di prosa psicologica alla Schnitzler, anche se più compatta e circoscritta per l’alternanza tra narratore esterno e monologo interiore. Su Schnitzler ritornerò più avanti.
“Una scrittura femminile azzurro pallido” di Franz Werfel è la vicenda esemplare di chi, nella vita, non ha colto la sua di occasione. Per volontà, debolezza morale, opportunismo non fa differenza.
Dittico
Il racconto di Werfel presenta numerose affinità con “Lettera di una sconosciuta” di Schnitzler, un racconto pubblicato in tedesco nel 1922 e tradotto per la prima volta in lingua italiana nel 1932.
In questo caso il tema centrale è un’ossessione amorosa, mortificata dall’invisibilità della donna agli occhi dell’uomo che ama.
Lascio al lettore la gioia di scoprire altri segreti e analogie ed eventualmente parteggiare per Schnitzler o Werfel.
Una bella gara!