Edito da Adelphi nel 2021 con la traduzione di Lorenza di Lella e Francesca Scala, “Yoga” di Emmanuel Carrère è un’autobiografia psichiatrica originale, ironica, ruvida dai tratti ossessivi. Autentica, anche se non totalmente sincera. Poco importa: chi legge partecipa a ciò che l’autore mette a nudo, alternando miserie (molte) e nobiltà (meno) di quattro anni cruciali della sua esistenza. Questa volta non mette in piazza vite che non sono la sua.
Di Emmanuel Carrère abbiamo recensito anche “L’avversario“.
La sua confessione non è un atto di coraggio.
“A volte mi è stato detto che ci vuole coraggio a dipingere se stessi in una luce poco lusinghiera. Non è vero. Dico e taccio quello che voglio, sono io a decidere dove posizionare il cursore. Chi scrive ha pieni poteri e la persona di cui scrive è alla sua mercé.”
Anche quando si diverte a barare in cerca di complimenti, noi lo assecondiamo. Benché paventi il contrario infatti, ha piena consapevolezza che il suo non è “un libretto arguto e accattivante sullo yoga” e che non ha imboccato la strada sbagliata cercando di scrivere nugae ascetiche. Non è forse ossessionato dall’idea di essere un grande scrittore?
Trama di Yoga
Carrère ha appena iniziato uno stage intensivo di meditazione Vipassana, che in pali significa ‘vedere le cose in profondità’. Grazie a questo seminario per iniziati, tosto come un addestramento da marines, si augura di tenere a bada un ego ingombrante e dispotico. In realtà sotto sotto è a caccia di materiale per un reportage sullo yoga, di cui da decenni è un adepto indisciplinato. Saranno le circostanze a deviare il corso dei suoi progetti. L’ attentato terroristico contro la sede di “Charlie Hebdo” – tra le vittime l’amico Bernard Maris – lo spinge a interrompere il ritiro per tornare a Parigi, che sta vivendo il suo di 11 settembre.
Questo libro nasce dalla rielaborazione di materiale inizialmente raccolto sullo yoga e le discipline orientali, arricchito da esperienze successive. Vengono toccati diversi argomenti inframmezzati da ricordi, riflessioni, incontri. Il passo della narrazione sembra erratico e dispersivo. Sembra, perché Carrère non è un flâneur: sa bene come e dove condurre il pensiero.
L’autore ci racconta il suo rapporto con l’altro sesso e con il sesso, vissuto come mezzo di conoscenza. Riporta una relazione da “Ultimo tango a Parigi” in cui l’eros si sposa allo yoga, in un personalissimo adattamento dell’autore. La parte più cupa riguarda la malattia quando, internato in un ospedale psichiatrico, gli viene diagnosticato un disturbo bipolare. Indugia sul calvario di una degenza lunga e troppo dolorosa da raccontare anche per chi, come lui, è abituato a verbalizzare l’esperienza. La verve non si spegne nemmeno tra i luoghi deputati di una riabilitazione difficile. La sua è una vita privilegiata, afflitta dalla necessità di stringere un patto collaborativo con malattia e narcisismo. Una faticaccia.
A seguire un soggiorno in un’isola greca, senza una ragione valida, presso un hotspot per migranti con scosse di assestamento emotivo e incontri inaspettati. L’autobiografia si chiude con spiragli di serenità e il ritorno alla vita, metamorfica, cangiante, via via ricomposta dall’alternanza degli opposti, come insegna il pensiero cinese.
L’impressione è che “Yoga” di Carrère sia un romanzo senza idillio, se per lieto fine intendiamo ‘per sempre’.
Recensione
La naturalezza e la rapidità dei passaggi da un argomento all’altro è tipica dei grandi. (L’ho imparato da Foscolo). I pensieri rimbalzano con nonchalanche da Nietzsche a Platone a William Hurt; da Montaigne a Dostoevskij al buddismo fino a Van Gogh, tra letteratura, filosofia, saggistica e musica. Trotterellano con paternalistica indulgenza su pratiche new age prive di bellezza, storia e gravitas per convergere inevitabilmente su di sè.
Il risultato è una prosa inconfondibile ricca, veloce e controllata, centrifuga e centripeta; curatissimo il lessico da fanatico del labor limae. L’ho conosciuta nell’appuntamento al buio con “Vite che non sono la mia”, perché l’autore francese lo conoscevo di fama. L’ho ritrovata, dirompente, in “Limonov”.
Quanto allo yoga del titolo, volete conoscere la morale della favola? “La meditazione è smetterla di raccontarsi storie, è vivere nel qui e ora”.