“Il castello di Otranto” – Horace Walpole


Voto: 4 stelle / 5

“Il castello di Otranto” di Horace Walpole (1765) è il romanzo gotico per eccellenza. Inizialmente è stato pubblicato sotto la falsa veste di traduzione di un testo medievale; nella seconda edizione l’autore ha scoperto le carte e ha rivelato l’inganno. Temeva i giudizi negativi su quella “sciocchezza” che aveva scritto, ha spiegato nella prefazione, perché era consapevole di aver “creato una nuova specie di romanzo”, che mischiava il reale all’immaginazione.

Hanno seguito e perfezionato il suo esempio tantissimi autori dell’Ottocento, da Ann Radcliffe a Robert Stevenson, passando per Mary Shelley e John Polidori.

Trama de Il castello di Otranto

Il romanzo, come spiega Horace Walpole nella prefazione alla prima edizione, è ambientato verosimilmente “tra il 1095, epoca della prima crociata, e il 1243, data dell’ultima, o non molto tempo dopo”.

La trama si svolge tra lotte di potere e incursioni paranormali. Dopo una serie di segnali misteriosi e macabri, scopriamo nella seconda metà che le scelte dei personaggi maschili, più o meno violente, sono state condizionate da una profezia.

Recensione

Ho incontrato “Il castello di Otranto” perché è stato scelto come lettura condivisa dal gruppo Facebook Il tinello letterario nel mese di novembre 2020. L’edizione che ho trovato nella biblioteca a cui mi sono rivolta è una Frassinelli 1995, e gode di nota e postfazione della traduttrice Eva Kampmann. Questi suoi due interventi mi hanno confermato che la fruizione di un libro del 1700 è influenzata moltissimo dalle scelte fatte dal traduttore. Eva Kampmann spiega di essere intervenuta, tra le altre cose, sulla punteggiatura e sulle ripetizioni. Il risultato è che il ritmo della lettura è incalzante e moderno.

Horace Walpole ha scritto qualcosa che era un po’ più di opera teatrale e un po’ di meno di romanzo. Non è un caso se un adattamento teatrale l’ha conosciuto praticamente subito. Sorprende, forse per pregiudizio, la maniera molto contemporanea di creare suspense e mantenerla: troviamo i dialoghi, i non detti, le azioni dei personaggi. Come accade spesso nei racconti di paura, impressiona più quello che dobbiamo immaginare che quello che vediamo.

Riconoscibilissima, infine, è l’influenza di William Shakespeare, dichiarata anche dall’autore nella prefazione alla seconda edizione. La presenza dell’intrigo e dell’equivoco nella sottotrama richiama inequivocabilmente la tecnica della novella all’italiana, che il grande Bardo riprende a sua volta in commedie come “Molto rumore per nulla” o “Sogno di una notte di mezza estate”.

Consigliato a chi ama andare all’origine delle cose.

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