Georges Simenon scrisse “Il dottor Bergelon” a Nieul-sur-Mer, a pochi chilometri da La Rochelle, nel 1939. Edito in Italia da Mondadori nel 1964, è stato appena ripubblicato da Adelphi con la traduzione di Laura Frausin Guarino.
Per un giovane medico di provincia un incidente professionale diventa l’occasione per cambiare la propria esistenza. Ma in questa storia non aspettatevi un iter formativo di autocritica, pentimento e riscatto. Nell’orizzone di Simenon manca il coraggio, la luce della fede e la possibilità di sfuggire al proprio destino.
Di Georges Simenon abbiamo recensito anche “Maigret si sbaglia“, “Marie la strabica”, “Il treno“ e “Pietr il Lettone“.
Trama de Il dottor Bergelon
Un giovane impiegato di nome Cosson non esita a spendere tutti i risparmi affinché la moglie per partorire sia seguita da uno specialista. Perciò accetta fiducioso il suggerimento del medico condotto di farla ricoverare nell’esclusiva clinica di chirurgia ed ostetricia del dottor Mandalin.
Cosson ignora l’esistenza di un accordo economico: Bergelon riceverà un compenso dal luminare per ogni paziente dirottato in clinica. Purtroppo il parto non va a buon fine. Questo evento mette in crisi il protagonista con una serie di reazioni a catena.
La fuga
Se la reazione di Cosson è abbastanza prevedibile, quella di Bergelon che rappresenta l’architrave del romanzo non lo è affatto.
Cosson, assetato di vendetta, avvia un’indagine un po’ sgangherata con un triplice obiettivo. Fare luce sui gradi di responsabilità dell’équipe medica. Sporgere denuncia per avere giustizia. Convogliare la rabbia della sua disperazione contro il dottor Bergelon, da cui si sente tradito, con un comportamento ondivago, apparentemente irrazionale e pericoloso. Cosson non ha pace
“Non era un uomo tormentato, era il tormento fatto uomo”.
E Bergelon?
È indispettito dal turbamento che intacca la sua quotidianità perché dopo l’incidente “non riesce a lasciarsi vivere come vorrebbe”. Si rimprovera di avere osato “uscire dal suo mondo per fare un’incursione in quello di Mandalin”. Capisce che per lui le cose non hanno più la stessa importanza di prima. Si sente estraneo a se stesso e sceglie di uscire dalla sua vita diventata “un abito troppo stretto”. Però non sa ancora come e nemmeno quale strada imboccare.
“C’era in lui una sorta di trepidazione, di ansia, una speranza, un’attesa, la voglia di fare un gesto – ma quale? -, di aprire non una porta, ma una strada, un mondo…”
Spinto dall’impulso di arrivare chissà dove, inizia a viaggiare senza un progetto, messe da parte famiglia e professione. Nel suo vagabondaggio si muove assente in un mondo traboccante di colori, odori, profumi e rumori di un’umanità affaccendata. La meta finale prende corpo in prossimità della conclusione. Quando Bergelon rivela la sua caratura morale.
Recensione
Nel corso del romanzo, grazie a passaggi impercettibili, il lettore non ha più di fronte il giovane medico di provincia in soggezione di fronte ai potenti, che si sforza di spiegare ai deboli la sua pochezza. Il lettore, piuttosto, incontra l’ uomo che tenta di fuggire dal suo destino, senza però tentare di schivare il povero Cosson che non smette di inseguirlo e minacciarlo.
Questa è la ragione per cui, a mio avviso, nel titolo originale Bergelon non compare il titolo di studio. Infatti l’episodio di malasanità, in cui è coinvolto, non è l’oggetto ma il pretesto che innesca il cambio di passo esistenziale del protagonista. E poi in quante interviste Simenon ha ribadito il suo interesse per “l’uomo nudo” ossia atemporale?
I temi toccati sono numerosi. La gabbia del matrimonio che l’uomo subisce e la donna costruisce. Vendetta, fuga, sogno e desiderio di lottare contro il proprio destino che gli appassionati di Simenon conoscono bene.
Certo, la negligenza o mala praxis che mette in moto la vicenda fa arrabbiare. Malauguratamente non sorprende la compatta solidarietà del Sindacato dei medici e della Polizia locale che, senza fare accertamenti, prendono d’ufficio le parti dei medici. A chi importa di un onesto poveraccio? Di un vedovo sul lastrico, roso dalla disperazione, che nei fumi dell’alcol biascica propositi di vendetta?
In questo romanzo dimesso e cinico – anche nella frangia esotica di un’Africa in cui solo i reietti vedono l’Eldorado -, il lettore partecipa alla ricerca del luogo in cui finalmente il protagonista cesserà di “vedersi come dal di fuori”.