“Il guardiano notturno” (Feltrinelli 2021) è un romanzo di Louise Erdrich che parla del processo di estinzione dei nativi d’America a causa dell’uomo bianco. Ha vinto il Premio Pulitzer 2021 per la narrativa.
Dei nativi americani abbiamo parlato anche nelle recensioni a “Lessico Cherokee” e “Old Indian Legends”.
Trama de Il guardiano notturno
I personaggi de “Il guardiano notturno” sono tanti e presentati tutti nel primo centinaio di pagine. Il nucleo narrativo in sostanza si sviluppa intorno a due famiglie del Nord Dakota, i cui capofamiglia sono rispettivamente i cugini Thomas e Zhaanat.
Per ogni famiglia abbiamo un innesco dell’azione narrativa: per Thomas, che fa il guardiano notturno, c’è il problema di una proposta di legge del 1951 che esporrà la sua gente al rischio di estinzione. Questo aspetto si basa solidamente sulla straordinaria storia del nonno materno dell’autrice: in qualità di presidente del Consiglio direttivo della tribù dei chippewa della Turtle Mountain si oppose all’abrogazione dei trattati bilaterali sulle terre occupate dagli Indiani d’America.
Per la famiglia di Zhaanat ci sono la sparizione di una figlia, Vera, e la partenza dell’altra figlia, Patrice, alla sua ricerca.
Nella parte centrale vediamo svilupparsi i due filoni narrativi con un ritmo abbastanza concitato. Nella parte finale, lo scioglimento si preoccupa di seguire i tanti personaggi e sembra faticare un po’. Alcuni di loro, infatti, alla fine dei giochi mi sono sembrati puramente funzionali: il romanzo avrebbe viaggiato benissimo anche senza di loro.
Recensione
“Il guardiano notturno” non afferra subito il lettore: gli chiede di respirare lentamente, di non avere fretta. Lo introduce nelle due famiglie in movimento, ma porta con sé tutte le difficoltà che un europeo può avere nel visualizzare i personaggi dai nomi in una lingua sconosciuta. Inoltre, l’inglesizzazione della maggior parte dei nomi non aiuta a distinguere subito i bianchi dai nativi.
Nel romanzo si vede molto forte il profondo contatto spirituale fra le tribù e la natura. I personaggi esperiscono con disinvoltura sogni, visioni, maledizioni.
“Aveva appena bevuto un biberon di latte. C’era una minuscola ruga fra le sopracciglia, il punto in cui risiedevano le sue preoccupazioni sul futuro. Gli passò il dito sulla ruga cercando di lisciargliela. Ma il solco sembrava permanente.”
Infine, il modo in cui viene alluso alle leggi razziali “Jim Crow” nella postfazione (nella traduzione italiana di Andrea Buzzi viene detto che Jim Crow “regnava” in America) mi ha fatto pensare che molto altro, in questo romanzo, sia stato sottinteso.
Penso che sia un libro afferrabile più pienamente da un pubblico americano che da uno europeo. Un libro che però, ne sono convinta, andava scritto. L’Europa è ancorata all’immagine dei nativi dei film western e c’è molto da fare per comunicare la loro cultura e la loro spiritualità.
“Da anni ormai aveva capito che il tempo era tutto insieme, avanti e indietro, sottosopra. Poiché siamo animali soggetti alle leggi terrene, pensiamo al tempo come esperienza. Il tempo invece è più simile a una sostanza, come l’aria”
Se affrontate la lettura di questo romanzo, mettete in conto che probabilmente non è stato concepito come divulgativo, o meglio, divulga una situazione a chi la conosce già a grandi linee.
“Il guardiano notturno” ha attirato la mia attenzione quando un collega mi ha raccontato che aveva vinto il Premio Pulitzer. Così quando è stato proposto come lettura di febbraio del gruppo della biblioteca Di Giampaolo di Pescara l’ho accettato volentieri.
Lo consiglio a tutti quelli che vogliono entrare nella dimensione spirituale dei nativi americani, volgarmente conosciuti come indiani d’America.