“Il male che non c’è” – Giulia Caminito


Voto: 5 stelle / 5

Smettetela di chiamarla ipocondria. Quella descritta ne “Il male che non c’è”, il nuovo romanzo di Giulia Caminito uscito il 18 settembre per Bompiani, è una debolezza esistenziale.

Ringraziamo la casa editrice per la copia digitale ricevuta in omaggio.

Di Giulia Caminito abbiamo recensito anche “La grande A” e “L’acqua del lago non è mai dolce”.

Trama de Il male che non c’è

Loris è un trentenne che potremmo dipingere, a tinte grossolane, come l’inetto di Svevo: non tanto perché sia un perenne stagista nel mondo dell’editoria, quanto perché si impantana continuamente nell’ascolto di sé stesso e di sintomi che non portano mai a nessuna diagnosi medica.

Fino a che punto la paura può condizionare la vita quotidiana, il lavoro, la famiglia, l’amore?

Recensione

Ne “Il male che non c’è” lo stile di Giulia Caminito si apre e si distende, per poi avvilupparsi su sé stesso come un intestino mano a mano che Loris sprofonda nella sua dipendenza. Sì, chiamo dipendenza il bisogno compulsivo di far corrispondere a ogni sintomo un problema, a ogni effetto una causa; di dare una fonte, una spiegazione a ogni movimento delle cellule.

“Non c’è nessuno di voi che possa farmi peggio di ciò che mi procuro da solo”

Come tutte le dipendenze, l’estrema attenzione di Loris per il suo corpo e la convinzione cieca di avere una malattia da stanare lo bloccano, svuotano, invalidano.

“Vorrebbe urlare che c’è un imbroglio nel suo corpo, tutto pare invertito, tutto non dà certezze”

Alle persone come Loris, ossessionate dagli imprevisti, terrorizzate all’idea che le cose sfuggano di mano, la paura aumenta quando non trovano il supporto intorno. Il mondo è fatto così: a un estremo ci sono le persone che non hanno mai dubbi e all’altro quelle che a compensazione ne hanno per entrambe. Di solito questi due opposti si sposano.

“Il buio è disteso, allargato, muove passi da insetto”

Se i dubbi venissero condivisi non ci sarebbe questo squilibrio. Le persone come Loris hanno bisogno di essere viste, per alleggerirsi dal proprio carico. Giulia Caminito lo fa, con rispetto e forse anche tenerezza, e io e Loris le siamo grati.

“Io ho tutto il terrore che mi serve”

È un libro talmente comprensivo che non importa se nell’ultima parte il ritmo rallenta invece di accelerare, non fa niente se quando avrei voluto un po’ più azione e decisione i ricordi ancora indugiano, l’inedia staziona e tocca ai personaggi collaterali scuotere Loris. Gli ho voluto bene per la maggior parte della lettura, e metto cinque stelle. Giulia Caminito presta nuovamente la voce alle fragilità, si mostra ricca di pìetas verso i traumi e ci propone anche qui un finale quasi onirico, disforico.

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