“Il sorriso dell’agnello” è il primo romanzo del grande scrittore israeliano David Grossman. È del 1983 ma torna di drammatica attualità nell’ambito di un conflitto che, come un vulcano in quiescenza che non ha mai cessato la sua sotterranea escandescenza, esplode ora in tutta la sua furia distruttrice. In Italia è pubblicato da Mondadori.
Di David Grossman abbiamo recensito anche “Che tu sia per me il coltello” e “Applausi a scena vuota”.
Trama de Il sorriso dell’agnello
La questione palestinese torna ad infiammare gli animi all’indomani di un eccidio che ha i contorni dell’orrore e la protesta dell’innocenza delle vittime, tra cui molti bambini.
Lo scrittore pone all’attenzione del lettore l’annoso contenzioso tra l’occupazione israeliana e la rivolta palestinese, attraverso una trama ordita dal destino, come dalla fantasia di una fiaba, intorno a quattro personaggi.
Abbiamo Khilmi, arabo, che la morte del figlio coinvolto nel terrorismo ha strappato all’idillio delle sue storie, raccontate per ingannare una lunga notte di dolore. Uri, soldato di guarnigione nei territori occupati, catapultato in una realtà ostica che non comprende e alla fine si rivela una trappola. Shosh, sua moglie, psicologa tormentata dal suicidio di un giovane paziente indotto dal suo approccio amoroso, che avvelena le relazioni con la menzogna e il tradimento. Katzman, comandante militare, ebreo polacco sopravvissuto all’Olocausto, che vive ormai nella disillusione e nel cinismo.
È come se una ragnatela invisibile li invischiasse reciprocamente: Uri è amico di Katzman e per lui ha accettato di venire in questi luoghi, ma è anche amico di Khilmi, cui dà la notizia della morte di suo figlio e accetta di divenire suo ostaggio in cambio della fine dell’occupazione israeliana; Katzman, poi, è amante di Shosh. In realtà, sono tutti ostaggi di una rete di odio e d’ingiustizia che assume i loro volti attoniti di fronte a qualcosa più grande di essi che alla fine sfugge di mano proprio a colui che più si credeva di saper reggere le redini: Katzman, ucciso da Khilmi, a cui si presenta per liberare Uri.
Recensione
“Il sorriso dall’agnello”, tratto distintivo di quest’ultimo, prima del compimento della sorte, si tramuta in una maschera grottesca. Non sarà l’agnello, stavolta, ad essere sacrificato.
Khilmi, che aveva minacciato di uccidere Uri se le sue richieste non fossero state accolte, in extremis, nella sua lucida follia, cambia obiettivo, proprio in memoria di suo figlio, per non avere sulla coscienza un’altra vittima innocente.
In questo romanzo è dominante la figura dell’idiota di Dostoevskij: lo è Khilmi, fin dall’infanzia minato dalla sua disabilità, oggetto di scherno e di emarginazione. Lo è suo figlio Yazdi, che il padre ha allevato con le sue storie perché restasse tale, refrattario alla violenza che regna nel mondo, ma che i terroristi hanno strumentalizzato. Lo è Uri – il cui nome corrisponde a quello del figlio dell’autore morto precocemente in una missione in Libano -, scagliato nel “cuore di una menzogna”, tradito sia da sua moglie che dal suo amico, incapace di spiegarsi il male.
Eppure è l’idiota Khilmi a farsi deus ex macchina di una regia contorta e artefice di una vendetta che alla fine assegna al tormentato comandante il ruolo di capro espiatorio. La realtà nel romanzo ha i contorni fumosi ed evanescenti di una favola, “kan-ya-ma-kan” (“c’era e non c’era una volta”), attingendo all’arte fabulatoria tipicamente araba.
David Grossman si rivela un autore geniale nel farsi interprete dei pensieri e dei sentimenti dei personaggi, nel sottoporre un tema così controverso ed attuale allo sguardo chiaroveggente dell’idiota, nel tessere una trama avvincente capace di stregare il lettore fino alla fine.
Flavia Buldrini