“L’Arminuta” è il romanzo con cui Donatella Di Pietrantonio ha vinto il Premio Campiello nel 2017. Della stessa autrice abbiamo recensito anche “Bella mia”, “Borgo Sud” e “Mia madre è un fiume“.
Trama de L’arminuta
Una storia, quella narrata in prima persona dalla scrittrice abruzzese, cruda e sferzante, che potrebbe apparire d’altri tempi, ma che in realtà è molto più comune di quanto si possa pensare.
Tanti sono, infatti, i bambini e i ragazzi che vivono anche oggi, nella nostra bella e patinata società, l’esperienza di più abbandoni, da parte della famiglia d’origine e di quella affidataria. Esperienze che diventano ancora più dolorose quando sono gestite da un sistema di assistenza sociale burocratico e lento, a volte corrotto.
Recensione
Molti i temi sottesi al racconto principale, prima di tutti il bisogno/rifiuto di una propria identità, ma anche: la maternità, l’amicizia – cercata, desiderata, perduta -, la scoperta del proprio corpo e della sessualità, lo scontro generazionale, il divario economico-sociale, il valore dell’istruzione.
La giovane protagonista, di cui non viene mai detto il nome proprio, all’età di tredici anni vive un’esperienza traumatica, che metaforicamente potremmo definire di morte e rinascita. Da questa esperienza uscirà solo grazie all’affetto incontaminato e gratuito di una sorella che non sapeva di avere e che si accorgerà di amare dopo aver forzatamente condiviso la delicata fase iniziale dell’adolescenza.
Una carica stilistica notevole e tematiche forti, presentate con un linguaggio diretto e scarno, immediato e vero, sono gli strumenti di cui l’autrice si serve per trasformare un’esperienza in un romanzo di formazione.
Quante volte anche noi, come “la ritornata” del racconto, siamo costretti a tornare sui nostri passi, a ritornare indietro in quei luoghi che abbiamo rifiutato, da dove siamo scappati o avremmo voluto fuggire. E proprio in questo “ritorno” si compie il processo di conoscenza di sé e di quello che vogliamo essere. L’Arminuta è dunque, in questa chiave di lettura, ognuno di noi, nella consapevolezza che per andare avanti bisogna sempre fare i conti con le proprie origini.
Annamaria Gazzarin
Era una lettura che mi attendeva da tempo sullo scaffale. Sentivo addosso lo sguardo della ragazza che mi fissava dalla copertina, desiderosa di rivelarsi. La sua è una storia di dolore, di abbandono, di miseria, di identità da ritrovare. Una figlia, orfana di genitori viventi. Madri che non riescono a dare un significato al proprio ruolo. Legami mai annodati, trattenuti, frantumati, riscoperti.
Sembra una storia d’altri tempi, legata ad antiche tradizioni, ma in realtà tratta tematiche di intensa attualità, come l’abbandono, l’amicizia, la disabilità, la povertà, l’adolescenza. Il tutto narrato con uno stile asciutto, schietto, fortemente vero, che colpisce ogni corda del cuore, emoziona e ti rende parte di un dramma che sembra troppo grande.
L’Arminuta parla in prima persona, il suo nome non trapela dalle pagine del romanzo, quasi ad indicare un’identità non ben precisata, ma solo un soprannome attribuito da altri, “la Ritornata”, colei che è stata affidata, restituita, rinnegata e che chiedeva soltanto di essere amata.