“Scomparsa” – Joyce Carol Oates


Voto: 5 stelle / 5

Scomparsa è il secondo libro della Signora Oates che leggo in breve tempo, era da un po’ che uno scrittore/scrittrice non mi coinvolgeva così.

Dopo “Sorella, mio unico amore” sono passata a questo, in cui l’autrice mette nuovamente sotto la sua spietata lente d’ingrandimento una famiglia americana. Anche qui si parla di legami di sangue difficili, problematici, distruttivi; in questo caso legati alla personalità borderline di Cressida Mayfield.

Della stessa autrice abbiamo recensito anche “Ho fatto la spia“.


copertina romanzo "scomparsa"

La trama di Scomparsa

Cressida è la piccola di casa Mayfield la sorella minore “quella intelligente” ma problematica, un’adolescente disturbata probabilmente dallo spettro dell’autismo, immatura, dispettosa, allergica ai rapporti umani, cinica, gelosa di Juliet “la sorella bella”. Cressida l’anafettiva, quella incapace di valutare le conseguenze delle proprie azioni. Quella che non si sente amata dalla famiglia, dalla società di Carthage, respinta dal fidanzato della sorella, Brett Kincaid – reduce invalido della guerra in Iraq.

Così cosa pensa di fare? Di scomparire senza lasciare traccia, dopo aver trascorso la serata del 4 luglio proprio con il veterano caporale Kincaid. Lo si sa da subito, perché il romanzo si  apre con le parole della giovane che spiegano le ragioni della sua sparizione: ha deciso di punire tutti quelli che non la amano.


La recensione

I romanzi della Oates sono sempre di forte impatto, non lasciano mai completamente indifferenti, per quel che mi riguarda, Scomparsa ha di sicuro dei punti di forza, ma anche qualche debolezza. Sono affrontati molti e svariati temi, forse anche troppi.

Il racconto si sviluppa con i punti di vista dei personaggi coinvolti: il padre Zeno Mayfield, la madre Arlette, Juliet, Brett, Cressidra stessa. L’analisi meticolosa che la scrittrice fa dei soggetti ci porta ad addentrarci nei loro pensieri più profondi, più intimi, veniamo a conoscenza di verità sconcertanti che non hanno mai avuto il coraggio di confessare a nessuno. In particolare le riflessioni di Brett “il carnefice” (sì perché è stato l’ultimo a vedere Cressida) e Cressida “la vittima” – le virgolette sono d’obbligo – ci permettono di capire la loro visione distorta della realtà. Il caporale Kincaid ha riportato dei danni neurologici che non gli permettono di distinguere le azioni presenti da quelle passate, così noi che leggiamo non capiamo se quello che racconta ha a che fare con le azioni di guerra o con quanto è successo la notte del 4 luglio e il suo pensiero confuso ci mette un po’ in difficoltà. Cressida vive in un mondo suo, chiuso, amaro, tagliente che se io avessi una figlia così, un giretto dal neuropsichatra glielo farei fare. Invece i genitori hanno avuto la colpa di accettarla così, di giustificare tutto alla luce della sua intelligenza e della sua “particolarità”.

Il sondare i loro animi può piacere oppure no, di sicuro non entusiasmerà gli amanti del “detto senza dire”, perché qui viene svelato tutto, resta poco alla fantasia del lettore. Possono comunque sorgere dei dubbi: il comportamento della protagonista è tale perché pensa che gli altri si aspettino certe azioni da lei, amplificando così la differenza con la sorella perfetta? Può l’amore dei genitori essere condizionato dal “livello di semplicità” di un figlio?

Questo continuo spostamento del punto di vista rende la narrazione a tratti ripetitiva: la stessa situazione è raccontata più volte anche se con considerazioni leggermente differenti ed è una della debolezze del romanzo, come lo sono alcune forzature, a mio avviso, della trama – che qui non svelo per non cadere in spiacevoli anticipazioni – dico solo “Sabbath McSwain” (chi lo ha letto capirà).

Tra i tanti – sopra li avevo definiti troppi – temi presenti in Scomparsa, si parla anche delle guerre statunitensi contro il terrore e c’è un capitolo lunghissimo sulla situazione carceraria americana, quante parole hai usato Joyce!!! Non conosco ancora così bene l’autrice per capire le sue idee, ma ho avuto l’impressione che ci fossero delle velate critiche nei confronti di questi argomenti e che nell’infinito interludio sulla prigione della Florida, la Oates raccontasse la sua contrarietà alla pena di morte. E’ vero, per carità, che l’esperienza della visita all’istituto detentivo è stata la molla per (non ve lo dico!), ma serviva tutto quel pippone messo lì?

Insomma, non un capolavoro però ho finito col simpatizzare con questa disadattata e avrei tanto voluto aiutarla,  quando un autore mi fa amare un suo personaggio, la sufficienza se la merita.

Chiara Carnio

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