“Rosso Malpelo” di Giovanni Verga è una novella pubblicata per la prima volta su “il Fanfulla” (nda era un quotidiano italiano con una vena ironica e polemica attivo dal 1870 al 1899) poi uscirà nella raccolta “Vita dei Campi” nel 1880 e in versione definitiva nel 1897.
Alcune novelle di Verga le abbiamo già recensite qui e inoltre abbiamo parlato di “Storia di una capinera” qui.
Trama di Rosso Malpelo
Malpelo è un ragazzo dai capelli rossi che per l’epoca erano segno di malizia ed essendo i compaesani superstiziosi lo trattavano sempre male.
E nemmeno la mamma lo tratta molto bene in quanto non condivide la sua scelta di andare a lavorare nella cava e teme che il figlio rubi parte dei soldi dello stipendio.
Non è amato neanche dalla sorella che lo picchio spesso.
L’unica persona che sembra dimostrargli affetto è il padre che lavora pure lui alla cava.
Il padre un giorno però accetta un incarico pericoloso dal padrone della cava.
Deve abbattere un pilastro.
Il pilastro cade addosso all’uomo e Malpelo è il primo a soccorrerlo. Inizia a scavare a mani nude per cercare di salvare il padre e chiama subito aiuto, ma quando arrivano gli altri l’uomo è già morto.
Dopo questo fatto il carattere del giovane peggiora ulteriormente.
In seguito però andrà a lavorare alla cava un ragazzino il cui soprannome è “Ranocchio”.
Ranocchio avendo lussato il femore è zoppo e non può fare lavori pesanti.
Malpelo lo prende così di mira, ma solo per cercare di farlo reagire, al suono di botte e insulti con lo scopo di fargli capire che la vita non è facile.
Ma come già detto Malpelo si affeziona a Ranocchio e sovente gli lascia da parte del mangiare oppure lo aiuta nei lavori pensanti.
Purtroppo però Ranocchio muore di tisi e Malpelo si sente sempre più solo al mondo dato che la madre si è risposata e la sorella e andata via dal quartiere.
Malpelo acccetta così l’incarico di esplorare una galleria sconosciuta nella cava e da quel condotto non ne uscirà mai più.
E questa sarà la vendetta postuma di Malpelo far paura da fantasma agli altri lavoratori della cava.
Recensione
Ti consiglio di leggere questa novella di Verga perchè è un vero e proprio spaccato della vita della Sicilia del XIX secolo.
Si racconta della povertà di quei tempi, dell’infanzia negata, della superstizione e delle credenze popolari che avvelenano la vita a Malpelo.
Certo quando l’ho letto ai tempi della scuola non avevo capito fino in fondo tanti concetti che, invece, mi sono stati chiari quando ho riletto il libro in età adulta.
Mi spiego meglio, ok?
Questo modo di scrivere di Verga serve proprio per far sentire il lettore fuori posto dato che lui, il lettore, è una persona fortunata al contrario dei protagonisti dei sui libri.
E si tenga presente che Verga era un verista perciò avrebbe dovuto usare il principio dell’impersonalità e, invece, in questa novella traspare benissimo, per lo meno secondo me, il senso di pietà che Verga prova nei confronti di Malpelo.
Tanto più che il messaggio finale di Verga è che se una persona nasce povera non importa quanti sforzi faccia, ma muore come è nata ossia povera e che per costoro, i minatori intendo, il lavoro non nobilita, ma è visto come una sorta di maledizione che si tramanda da padre in figlio.
E, forse forse, questi concetti non sono così lontani dai giorni nostri dato che sfruttamento del lavoro e i maltrattamenti non sono ancora attuali!