Non riesco a uscire da questo libro che ho finito di ascoltare domenica scorsa, tanto che dopo tre giorni l’ho RICOMINCIATO. Davvero, ricominciato. Mai successo prima. Si tratta de “La trilogia di New York” di Paul Auster.
Usciti tra il 1985 e il 1987, i tre romanzi “La città di vetro”, “Fantasmi” e “La stanza chiusa” sono pubblicato da Einaudi in un’unica edizione. Io l’ho ascoltata su Storytel.
Trama di Trilogia di New York
Tutti e tre i libri della trilogia sono, come da titolo, ambientati a New York, anche se nel primo volume la città viene paragonata a nessun luogo, il migliore che esista.
Tutte e tre le trame sono strutturate come in un noir: c’è un caso da risolvere (due pedinamenti e una sparizione), ci sono persone che vestono una bugia o molteplici identità, e persiste la sensazione che ci sia una specie di burattinaio invisibile a muovere tutto dall’alto.
Recensione
Quello che fa esplodere la testa e mi ha impedito di uscire da questo libro è capire che, alla fin fine, la “Trilogia di New York” sviluppa lo stesso germoglio di storia. A fare da collante è un quadernino rosso, su cui l’investigatore del primo libro prende gli appunti necessari. A sorpresa, i protagonisti di ogni racconto appaiono almeno una volta nello sfondo degli altri due. Per esempio, durante il secondo ascolto, ho notato che il committente del caso dichiara di avere tanti nomi, tra cui anche White: sia White sia il nome del committente tornano nei due romanzi successivi.
“Noi esistiamo per noi stessi, forse, e talora cogliamo anche un barlume della nostra identità. Ma alla fine non siamo mai sicuri. Con il passare delle nostre vite diventiamo sempre più opachi al nostro sguardo: più consci della nostra disorganicità”
Internet è pieno di interpretazioni e suggerimenti di lettura su come leggere “Trilogia di New York”. Quello che mi è balzato all’occhio, una volta capita la struttura narrativa (ma sono dovuta arrivare al terzo libro per capirla!), è che questo libro sembra l’embrione di “4321”, uno degli ultimi scritti di Paul Auster. In entrambi notiamo una sensibilità accesa per la molteplicità delle vite possibili e per l’imprevedibilità degli incontri.
“(..) perché le nostre parole non corrispondono più al mondo. Quando le cose erano intere credevamo che le nostre parole le sapessero esprimere. Poi mano a mano quelle cose si sono spezzate: sono andate in schegge, franando nel caos. Ma le nostre parole sono rimaste le medesime.”
Infine, il romanzo è dichiaratamente un meta romanzo, ossia sin dalle prime pagine Paul Auster stende una sorta di manifesto dello scrittore. Lo definisce simile a un investigatore, all’inseguimento di un’idea che non sempre si lascia mettere a fuoco: esattamente come i personaggi dei tre romanzi, che rimangono sempre sfuggenti, impenetrabili, e alla fine spariscono nel nulla. L’autore ci dà in mano la chiave di lettura sin dalle prime pagine, ma noi siamo portati a pensarla come semplice riflessione. Che ingenui!