Tra i tanti romanzi della scrittrice sarda Michela Murgia, “Accabadora” occupa un posto speciale. Pubblicato nel 2009 per la casa editrice Einaudi, si aggiudicò subito il Premio Dessì e nel 2010 gli furono assegnati il Premio Campiello e il SuperMondello.
È del 2015 la trasposizione cinematografica, diretta da Enrico Pau, con Donatella Finocchiaro e Barry Ward.
Di Michela Murgia abbiamo recensito anche “Istruzioni per diventare fascisti“, “Chirù“, “Ave Mary“.
Trama di Accabadora
La vicenda è ambientata a Soreni, piccolo paese sardo, a metà Novecento. Maria, ultima figlia della vedova Anna Teresa Listru, considerate le misere condizioni di vita della madre, viene affidata come “filla de anima” a Bonaria Urrai, che vive sola e senza figli, conosciuta da tutti come la sarta del paese. Ma Bonaria nasconde anche altri segreti. Conoscitrice di arcane tradizioni ancestrali, lei è l’accabadora, l’ultima madre, capace di compiere il gesto finale e condurre il malato consenziente verso una morte serena.
“…Quando finisce il dolore finisce il lutto.”
“Quindi il lutto serve a far vedere che c’è il dolore…”, aveva commentato Maria credendo di capire, mentre la conversazione già sfumava nel silenzio lento dell’ago e del filo.
“No. Maria, il lutto non serve a quello. Il dolore è nudo, e il nero serve a coprirlo, non a farlo vedere.”
Ignara di tutto, Maria conduce una vita tranquilla, frequenta la scuola pubblica e comincia ad apprendere le prime nozioni di cucito. Qualcosa comincia a incrinarsi nella vita delle due donne in seguito all’incidente capitato alla famiglia Bastiu e al giovane Nicola, fratello maggiore di Andria, amico e compagno di scuola di Maria. Nulla sarà più come prima.
Recensione
Siamo tutti parte di un patrimonio culturale antico, le cui origini si perdono nel mito. Anche se oggi tendiamo al distacco, non possiamo negare un patrimonio di credenze arcane, costruito su fatture e riti misteriosi, difficili da spiegare razionalmente. Con estrema umanità e semplicità, senza paure o pregiudizi, si affrontano temi importanti in questo romanzo.
L’eutanasia è sicuramente il tema centrale, ma se ne parla con una delicatezza e un senso di pietà capace di mettere a tacere ogni giudizio.
Il dibattito è sempre aperto. L’accabadora è in realtà un’assassina o una madre pietosa capace di andare oltre le umane convinzioni ? Qual è il confine tra azioni giuste e azioni sbagliate? Maria e Bonaria rappresentano due diversi concetti di giustizia, ognuno con le sue ragioni e fino all’ultimo riesce difficile definire dove collocare il bene e il male, e cosa possa essere definito concretamente un “male”.
“Come gli occhi della civetta, ci sono pensieri che non sopportano la luce piena. Non possono nascere che di notte, dove la loro funzione è la stessa della luna, necessaria a smuovere maree di senso in qualche invisibile altrove dell’anima.”
La partecipazione emotiva del lettore è tanta. La penna di Michela Murgia ci regala figure femminili dai tratti psicologici indimenticabili. Intensa è la scrittura, che riesce ad unire vita e morte in una dimensione quasi poetica.
Sullo sfondo il fascino di una Sardegna ricca di storia, tradizioni e cultura. Che non smette mai di stupirci.