“Beati gli inquieti” è un romanzo di Stefano Redaelli pubblicato da Neo edizioni nel 2021 e classificatosi secondo al “Premio di Letteratura Neri Pozza 2019”. L’autore è professore di Letteratura Italiana presso la Facoltà di “Artes Liberales” dell’Università di Varsavia.
Trama di Beati gli inquieti
Antonio è uno scrittore che tramite l’aiuto dei genitori trova un ospedale psichiatrico in cui può infiltrarsi per approfondire lo studio sulla follia. Ha addirittura delle formule matematiche e religiose per le sue teorie, e un elevato grado di empatia per i suoi compagni.
Racconta in prima persona le routine e le persone che vede.
E per noi c’è una sorpresa finale.
Recensione
Durante la lettura di “Beati gli inquieti” ammetto di aver pensato alla “solita” – mi si passi il termine – operazione letteraria in cui un outsider osserva le regole di una comunità e le propone al lettore (ritenuto) sano di mente con l’obiettivo di farlo riflettere. È quello che ho già visto in scena ne “L’arte di legare le persone”, nei libri di Daniele Mencarelli o in “Follia” e pensavo che il romanzo appartenesse a questo filone.
Invece è un libro più sfuggente. È uno di quelli che ti fa dubitare. Ti presenta un’architettura molto precisa soltanto per poterla poi smantellare come soffiando su un castello fatto di carte ed eventualmente ricostruirla a suo piacimento. Come in “Piranesi” o in “Amok”.
“Nel mondo il folle vive nel buio. Agli scrittori direi che la follia è inutile che la descrivano perché è come la luna piena, più la guardi più ti attira più la trovi squallida”.
Mi è piaciuto lo stile usato da Stefano Redaelli, un ibrido fra documentario e diario, con dei picchi di lirismo. Il suo pregio maggiore è nell’escalation della perdita di controllo. All’inizio la scrittura è posata e placida, poi si sfrangia sempre più, dandoci l’idea di una lucidità in pericolo. Ma è la sua o la nostra?