“La taverna degli assassini”- Marcello Simoni


Voto: 3.5 stelle / 5

La taverna degli assassini. Un’indagine di Vitale Federici” è un giallo storico di Marcello Simoni, prolifico scrittore tradotto in venti Paesi (Newton Compton Editori 2023, 224 pagine). Ringraziamo la casa editrice per la copia digitale ricevuta in omaggio.

Dello stesso autore abbiamo recensito “La selva degli impiccati”, “La biblioteca perduta dell’alchimista”, “Il profanatore dei tesori perduti”.

Ricorda un po’ quello dell’Innominato il castello abbarbicato in cima a una rupe come un rapace, raggiungibile dopo una serie di tornanti, dove si dirige il nostro Vitale Federici. L’analogia con il personaggio manzoniano, però, termina qui perché il padrone di casa ha i tratti di un don Rodrigo depotenziato in chiave di comica mediocrità. Tra le pareti domestiche è la moglie a portare i pantaloni. Di fronte a terzi l’aristocratico consorte ostenta un’albagìa pari alla sua inettitudine. Ma cominciamo dall’inizio.

Trama di La taverna degli assassini

Granducato di Toscana, dicembre 1793. Nella tenuta del barone Leonberto Calendimarca, top-seller di vino rosso, si verifica un omicidio. Poiché in gioco ci sono reputazione e business, per indagare con discrezione viene convocato il magister Vitale Federici, accompagnato dal suo pupillo Bernardo. Acume, spirito di osservazione, capacità deduttive gli hanno fatto guadagnare la fama di investigatore freelance. È il barone a esporgli i fatti in un colloquio simile a un duello verbale. I contendenti? Intelligenza e boria nobiliare. Chi parla apertis verbis e chi sceglie la reticenza, spacciandola per discrezione.

Nei giorni antecedenti una copiosa nevicata aveva ammantato la proprietà. Agli occhi del fattore, intento a controllare lo stato di salute dei preziosi vitigni, la neve era apparsa subito una sventura, uno scherzo del diavolo, un bianco sudario, destinata a compromettere potatura e qualità del raccolto. Ma quando il suo cane scopre il cadavere dell’export manager, il termine sudario cessa di essere una metafora.

Durante l’inchiesta il nostro eroe scopre a sue spese di non potersi fidare di nessuno, a parte il discepolo che tutela come un padre. A rischio della vita verrà a capo di una vicenda ingarbugliata quanto i tralci che imprigionano la vittima, in quella che i botanici chiamano vite maritata. La vigilia di Natale il castello ospita il fior fiore dell’aristocrazia in un tripudio di ghirlande, festoni, candelabri, cibi luculliani e balli in maschera. Il precettore detective ne approfitta per smascherare i responsabili di un piano diabolico che intreccia vendetta, amore, potere, politica. Un finale emulo di Poirot.

Recensione

Dopo il Medioevo, il Quattrocento, il Cinquecento, il Seicento questa volta Marcello Simoni sceglie la fine del Settecento, quando il Granducato di Toscana dichiarò guerra alla Repubblica francese di Robespierre. L’ ambientazione storica verte sui rapporti commerciali con la Francia giacobina e sul clima di tensione tra gli esponenti dell’Ancien Régime nello Stivale. Un ruolo importante è assegnato a enologia e viticoltura. A mio gusto avrebbero meritato ancora più spazio per irrobustire lo scenario, aumentare l’interesse e dilazionare la scoperta del colpevole. È vero che voltafaccia, sorprese, depistaggi non mancano. Però i passaggi verso la risoluzione del caso sembrano un po’ troppo rapidi, anche per la bidimensionalità psicologica di alcuni personaggi.

Sono due le lezioni che in apertura e in chiusura Vitale impartisce al giovane Bernardo. I sensi ingannano, la ratio no come dimostra il mito della caverna. Verità e felicità non vanno d’accordo, parola di Zadig. Così, meditando su Platone e Voltaire, il lettore può accorciare l’attesa del prossimo giallo storico di Marcello Simoni.

Commenti