“Le intermittenze della morte” – José Saramago


Voto: 3 stelle / 5

Pubblicato in Portogallo nel 2005 e in Italia nello stesso anno da Einaudi, “Le intermittenze della morte” di José Saramago è tradotto da Rita Desti e pubblicata nel 2012 anche da Feltrinelli. Dello stesso autore abbiamo recensito anche “Cecità“, “Il racconto dell’isola sconosciuta“, “Memoriale del convento”, “Il Vangelo secondo Gesù Cristo“, “Saggio sulla lucidità” e “Caino“.

Trama de Le intermittenze della morte

Primo gennaio di un anno non definito: nessuno muore, nessun tipo di morte minaccia più l’umanità, niente più morti violente, né improvvise, né tranquille, né attese. E così nessun incidente, nessun malore, nessun sonno che diventa eterno, nessuno stato terminale termina il suo corso angosciante. Respiri che sembrano gli ultimi esalati, continuano a tenere aggrappato alla vita chi aveva già iniziato a slegarsene.

Sembra la soluzione a tutto, è un miracolo che la stessa chiesa, però, teme. Che ne sarà della fede senza la morte a darle significato? Quale vita eterna ci aspetta, se quella terrena è già eterna?

Ci sono persone che vivevano della morte fino a qualche giorno prima, ci sono gli ammalati da assistere per l’eternità, pensioni da pagare per sempre, insomma, tutta una serie di problemi che non ci si era mai trovati ad affrontare e per i quali non esistono soluzioni di provata efficacia. Ma la morte all’improvviso ritorna, è una figura femminile con una falce e inizia a spedire lettere di colore viola, con le quali annuncia il suo arrivo.

Recensione

La scrittura è quella ben nota di Saramago. Le sue opere non sono molto lunghe, ma molto intense, l’autore chiede ai suoi lettori molta attenzione per poterli catturare. Nei suoi discorsi non ci sono pause, non ci sono boccate di ossigeno alla sua eloquenza che non ammette interruzioni. Mentre ci fa riflettere e invocare l’intervento se non di un punto, almeno di una virgola per mettere ordine ai pensieri, Saramago concede tregue, gettando, nel più serio dei discorsi, semi di umorismo che fanno subito germogliare sorrisi.

Non è il miglior lavoro del premio Nobel, ho trovato la trama molto lenta, soprattutto nella prima parte, ho avuto difficoltà a seguire il filo del discorso. Forse ho faticato a ragionare con l’assurdità, mi sembrava un racconto fantastico e tragico anche: il pensiero di una vita che è sempre vita non lo trovo così meraviglioso.

Nella seconda parte, quella in cui la morte ritorna con fattezze femminili, invece, ho trovato la storia più semplice. Sembra che torni la speranza: la speranza di un tempo che ha di nuovo dei limiti, l’onere di scegliere cosa fare e cosa invece rischia di rimanere incompiuto. E la morte, con sembianze umane, diventa umana, compassionevole, sembra voler abbandonare il suo ruolo quando si rende conto di tutta la bellezza a cui pone fine.

Ancora una volta Saramago, pur nell’osticità della sua scrittura, mi lascia la certezza di aver riflettuto su qualcosa su cui non sono solita riflettere, portandomi a esplorare quei lati di me ancora oscuri. La missione del libro è compiuta: vecchie ombre lasciano il posto a nuova luce, ciò che giaceva in profondità sale finalmente in superficie.

Consigliato agli amanti di Saramago che ne apprezzeranno gli intenti nonostante l’ostilità della storia.

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