Quest’anno sia il Premio Strega che il Premio Strega Giovani sono stati assegnati allo stesso romanzo: “L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio, pubblicato dalla casa editrice Einaudi nel 2024.
Perché le fragilità appartengono a tutte le generazioni e non è mai facile affrontare insieme le angosce di un figlio, le ansie di un genitore, le sofferenze interiori di un’amica. O di noi stessi. Perché le prove della vita sono sempre dietro l’angolo e ti tormentano ad ogni età.
Di Donatella Di Pietrantonio abbiamo recensito anche “Mia madre è un fiume“, “Borgo Sud“, “L’arminuta” e “Bella mia“.
Trama de L’età fragile
Lucia e Doralice hanno trascorso l’infanzia e l’adolescenza in un paesino abruzzese, alle pendici del Dente del Lupo. Il loro mondo si sgretola una notte di fine estate. Doralice scompare insieme ad altre due ragazze e Lucia partecipa attivamente alle ricerche, insieme al padre. La tragedia che seguirà sconvolgerà le loro vite e le costringerà ad entrare con violenza nel mondo adulto.
“Mio padre mi chiede di accompagnarlo nel suo ultimo tratto, insiste che prenda quel terreno. A mia figlia devo restituire il mondo. Mi tirano ognuno dalla propria parte, al proprio bisogno. Mi spezzano”.
A distanza di trent’anni, Lucia si troverà a gestire da sola la giovinezza della figlia Amanda, tra silenzi, incomprensioni, incertezze sul futuro. Il ritorno della ragazza, dopo un breve periodo universitario a Milano, aprirà ferite e tornerà a dare spazio ai sensi di colpa della madre. A tutto ciò si aggiungerà la presenza incombente del padre ormai anziano e deciso a sistemare i suoi possedimenti prima di morire.
Recensione
Ci sono cicatrici interiori che non si rimarginano. I sensi di colpa, le assenze logorano dentro e coltivano insicurezze e rimorsi sempre più grandi.
Lucia aveva appena vent’anni quando un atroce delitto la sconvolse. Poteva capitare a lei, quel giorno aveva mentito, ma fece del silenzio la sua arma per continuare a vivere. Interruppe rapporti, cercò di seguire il tutto da lontano, portò con sé il peso della vergogna dei sopravvissuti e cercò di riprendere il suo percorso.
Il romanzo è ispirato liberamente a un fatto di cronaca realmente accaduto negli anni Novanta sui monti abruzzesi, conosciuto come “il delitto del Morrone”. Si riporta così in primo piano il tema della violenza, del femminicidio e delle ripercussioni sull’intera comunità, il tutto accompagnato da un velo di silenzio, che ha offuscato ogni cosa con il passare del tempo e ha modificato la vita di molti abitanti.
“Eravamo giovani, ma non invincibili. Eravamo fragili. Scoprivo da un momento all’altro che potevamo cadere, perderci, e persino morire.”
Una tematica principale del romanzo riguarda il rapporto tra figli e genitori. Non è mai facile comunicare, comprendersi, vedere oltre la realtà oggettiva. Il ritorno di Amanda a casa è segnato dal silenzio e dalla solitudine. Nessuna spiegazione, nessun confronto o chiarimento, nessuna parola.
Il rapporto di Lucia con il padre è stato sempre basato sulla rigidità, ora, invece, si incentra su un passaggio di consegne e di responsabilità. L’autrice crea così un quadro ricco di sfumature, che ci spinge a interrogarci sulle nostre stesse relazioni familiari, a mettere in discussione anche le nostre certezze, a svelare le nostre fragilità.
“- I figli, ci sono tanti modi di perderli. È inevitabile, a un certo punto, – dice.
– Ma la mia sta male e io ancora non so cos’ha, non so come aiutarla.-
– È dopo che la perderai davvero, quando avrà la fortuna di andarsene.”
I capitoli scorrono tra presente e passato.
Lo stile essenziale e lineare dell’autrice non lascia spazio a inutili fronzoli, ma arriva diretto al nostro cuore, invitandoci a esplorare il nostro lato più vulnerabile, ad abbracciare le nostre fragilità e ad accettarle.
Alla fine ecco la risposta alla domanda che ci poniamo all’inizio del romanzo su quale sia la vera età fragile. Scopriamo così che ogni età ha le sue fragilità, piccole e grandi che siano. Il romanzo comunque apre alla speranza, la speranza di ricominciare, di porre riparo agli errori, di affrontare la realtà con animo nuovo. Non è mai troppo tardi per aprirsi nuovamente alla vita.