“L’uomo di Calcutta” – Abir Mukherjee


Voto: 4stelle / 5

“L’uomo di Calcutta” di Abir Mukherjee è un giallo poliziesco ambientato in India nel 1919, che abbiamo letto nell’edizione Feltrinelli del 2020 (325 pagine). Un’epoca di tumulti e rivolte, il periodo delle lotte per l’indipendenza che avverrà ufficialmente solo tanti anni dopo, ma che già nel primo Dopoguerra trova le sue radici indipendentiste. Di Abir Mukherjee abbiamo recensito anche “Le ombre degli uomini”, “Fumo e cenere” e “Morte a Oriente”.

Trama de L’uomo di Calcutta

“L’uomo di Calcutta” è un romanzo affascinante, sia per la trama che si svolge attorno ad un caso di omicidio politico, sia per la narrazione storica degli avvenimenti, a tratti molto commovente e che fa riflettere sul male che l’essere umano è in grado di compiere. E che purtroppo continua a compiere.

Il protagonista è il Sahib Wyndham (non vi preoccupate per i termini indiani, perché in fondo al libro vi è un’interessantissima lista dei significati), un giovane capitano britannico, veterano della Grande Guerra, che porta con sé – e su di sé – le conseguenze psicologiche di quella tragica esperienza. Wyndham accetta l’incarico assegnatogli in India per sfuggire dai suoi ricordi dolorosi, che lo tormentano e che cerca di annegare con l’uso di oppiacei, ma invano. Infatti il dolore della guerra e dei lutti che essa ha comportato, lo seguirà fino a Calcutta: non si sfugge dal dolore, bisogna affrontarlo e attraversarlo. Wyndham sarà in grado?

Recensione

Con il capitano andiamo alla scoperta di Calcutta, della sua società, delle sue numerose contraddizioni e nelle viuzze complicate dei suoi quartieri più antichi e più poveri. Interessanti sono le tematiche che ritroviamo: dall’atteggiamento di iniziale superiorità da parte dell’uomo britannico nei confronti del popolo colonizzato, fino alla presa di coscienza del male umano.

È un romanzo coinvolgente e piacevole, alla fine del quale si è riflettuto molto, non solo per scoprire il colpevole, ma soprattutto sulla situazione storica. È uno di quei libri, di cui pensi “bello, bello, bello”. Non penso si debba aggiungere altro.

Margot Cardullo

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