“Giulio Cesare” – William Shakespeare


Voto: 4 stelle / 5

“La tragedia di Giulio Cesare” di William Shakespeare fu una delle prime opere a venire messe in scena nel Globe Theatre nel 1599. La sua fonte principale fu “Vite parallele” di Plutarco, nella traduzione in Inglese del 1579 di Sir Thomas North.

Di William Shakespeare abbiamo recensito anche “Macbeth”, “Otello”, “Tito Andronico”, “Molto rumore per nulla”, “Sogno di una notte di mezza estate” e alcuni sonetti.

Trama di Giulio Cesare

Non rimarrete male se vi dico subito che, nella storia, Giulio Cesare muore.

La cosa interessante è che succede a due terzi del dramma. Il bello arriva dopo, con l’inizio della guerra civile romana. Nel dramma vediamo scontrarsi la fazione repubblicana dei cesaricidi Cassio e Bruto contro l’esercito di Marco Antonio e Ottaviano.

La guerra civile si concluderà con il suicidio di Antonio e Cleopatra.

Recensione

Quello che non ti aspetti, leggendo il “Giulio Cesare”, è che il dramma non verta sull’assassinio a Cesare ma sulla sua congiura. Anzi, di più: sulle argomentazioni dei traditori. Mi ha colpito un commento presente in “If we were villains” di M.L. Rio, il Dark Academy che mi ha fatto venire voglia di riprendere questa tragedia: la gravità del tradimento a Giulio Cesare sta nel fatto che i congiurati si dicevano suoi amici.

“Cesare: Buoni compagni entrate e bevete una tazza con me; poi, simili ad amici, andremo insieme.

Bruto (a parte): Quel che è simile, non è sempre la cosa a cui è simile, o Cesare!”

Mentre ascoltiamo Cassio incalzare Bruto e fargli il lavaggio del cervello non possiamo fare a meno di pensare alla lingua da serpente di Jago che pochi anni dopo si sentirà sibilare in “Otello”. È la voce del dubbio: si fa strada nell’uomo tardo rinascimentale quando scopre che la Terra è al margine dell’universo e non il suo centro. Spesso si scontra con una stolida certezza.

“La colpa non è nelle nostre stelle, Bruto, ma in noi stessi, se siamo schiavi”

Quello che ci spinge addirittura ad ammirare Bruto e Cassio è la loro incrollabile fede nella bontà di quello che hanno fatto: Bruto dice che amava sì Cesare, ma ama di più Roma. Sono abili oratori, convincenti, portentosi. Dipingono Caio Giulio Cesare come un ambizioso dittatore. Cominciamo a credergli, a non distinguere più il bene dal male.

Poi arriva la controparte, Marco Antonio. Lui ci riporta alla realtà, eppure è subdolo il discorso con cui solleva il popolo contro i traditori.

“(…) perché voi ben sapete che Bruto era l’angelo di Cesare. Oh, voi numi, giudicate quanto Cesare lo amasse! Fra tutti i colpi questo fu il più crudele.”

Infine, nel “Giulio Cesare” ritroviamo inoltre quel passaggio di Plutarco, che il gusto esoterico Shakespeare non poteva lasciarsi sfuggire. Plutarco racconta che Bruto abbia sognato “qualcuno” dargli appuntamento a Filippi. Nel dramma viene dato un volto a questo “qualcuno”: naturalmente il volto è di Cesare in cerca di vendetta, come lo sarà il padre di Amleto e come lo sarà il fantasma di Banqo nel Macbeth. Tuttora “rivedersi a Filippi” è un modo di annunciare la resa dei conti. Sul campo di battaglia di Filippi contro Marco Antonio e Ottaviano sia Bruto sia Cassio perderanno la vita.

Commenti