“Le dieci donne spia che hanno fatto la storia” – Domenico Vecchioni


Voto: 5 stelle / 5

Il saggio di Domenico Vecchioni “Le dieci donne spia che hanno fatto la storia” (Edizioni del Capricorno 2019) conquista il lettore con una carrellata di spie del Novecento. Mitizzate a torto o a ragione. Più o meno note. Poco valorizzate o avvolte dal mistero.

Chiude eccezionalmente la galleria al decimo posto un agente segreto del Settecento: il Cavaliere d’Éon, alle dirette dipendenze di Luigi XV. Come agente sotto copertura in Russia, ottenne memorabili risultati politici per la Francia. Eppure deve la sua fama al travestitismo che indossò per tutta la vita. Lo definirei un fantasista che finì travolto dal suo ego. Oggi, probabilmente, non supererebbe il test attitudinale per l’arruolamento di intelligence.

L’autore – ex diplomatico, storico, pubblicista e saggista -, tratteggia il profilo di donne fuori dall’ordinario, impegnate in attività di spionaggio o di intelligence. Un’indagine a tutto tondo su ambiente di provenienza, formazione, competenze, ruolo, motivazione e risultati ottenuti.

Di Domenico Vecchioni abbiamo recensito anche “Pablo Escobar“, “Le spie del Duce“, “Lo sbarco in Normandia“, “Suez. Il canale che ha cambiato la geografia del mondo” e “Legione straniera“.

Trama di Le dieci donne spia che hanno fatto la storia

Mi sembra plausibile ricondurre le protagoniste a cinque modelli, fantasista a parte: l’irriducibile, la talpa, la seduttrice, l’invisibile, “mal d’Arabia”.

L’irriducibile

Una principessa indiana fedele a Gandhi, una contessa polacca spericolata, una diplomatica americana ambiziosa. Oltre a cultura, fascino, intelligenza, autocontrollo volete sapere cosa le accomuna? La scelta di combattere il nazismo nei territori occupati dai tedeschi, in veste di agenti operativi alleati. Occorrono fegato e pensiero creativo. È il caso di Noor Inayat Khan, Krystyna Sharbek e Virginia Hall.

La talpa

Alla fine degli anni Novanta il direttore della CIA premiò un’analista di alto profilo per la sua professionalità. Il suo nome è Ana Belén Montes, americana di origini portoricane. Nessuno immaginava che lavorasse per Fidel Castro. Un bello smacco. Piuttosto interessanti le ipotesi sulle concause che spinsero “la spia più dannosa per gli Stati Uniti degli ultimi cinquant’anni” a tradire il proprio Paese.

La seduttrice

Il pensiero corre a Matha Hari che diventa doppiogiochista per avidità. Infatti, prossima alla quarantina gli ingaggi iniziano a diradarsi. Lo spirito festaiolo della Belle Époque, che l’ha osannata come una dea, viene spento dalla guerra. Pertanto, raccogliere informazioni sensibili tra vecchi e nuovi amanti le appare una soluzione remunerativa.

Invece Anna la Rossa, dopo l’avventura spionistica negli Stati Uniti patrocinata dal Cremlino, si ricicla come show-woman nella Federazione Russa di Putin. La danzatrice diventata spia e l’ex spia che ottiene visibilità mediatica presentano alcune analogie. Narcisismo, velleitarismo, una certa leggerezza e l’uso del sesso: l’arma più antica del mondo.

Joséphine Baker, a mio avviso, risponde parzialmente al profilo della spia seduttrice. Perché se ha sedotto, lo ha fatto soprattutto sulla scena e nella vita, privata ma non troppo. Se ha peccato di velleitarismo, lo ha fatto come mamma di una famiglia multietnica.

Invece si rivela un prezioso agente del controspionaggio francese al servizio della Francia libera di De Gaulle, negli ambienti diplomatici e in zone calde del Medioriente e del nord Africa. Colpisce la sua dedizione per il Paese che l’ha adottata senza pregiudizi razziali.

L’invisibile

Fräulein Doktor fu la prima donna a conquistare i vertici dei servizi segreti tedeschi. Talent scout e formatrice di spie, durante il Primo Conflitto è a capo di una rete di soggetti provenienti dalla sua scuderia. Dopo il nazismo la sua figura viene coperta da una cortina fumogena ispessita da dicerie e depistaggi.

È quasi certo, argomenta Domenico Vecchioni, che sia lei la settantenne morta in Germania negli anni Sessanta. Una donna anziana come tante, all’anagrafe Elsbeth Schragmüller. La questione rimane aperta.

Mal d’Arabia

In questa galleria Gertrude Bell non solo rappresenta un unicum per la sua poliedrica attività, ma per l’expertise diplomatica. Non dirò che durante la Prima Guerra Mondiale negozia con gli sceicchi arabi per indebolire la Turchia, alleata della Germania. Vi rivelo solo che fu lei a intuire il pericolo di derive teocratiche sciite nel nascente Iraq e a riferire il genocidio armeno al governo britannico. Conobbe come archeologa e diplomatica il futuro Lawrence d’Arabia.

Recensione

“Le dieci donne spia che hanno fatto la storia” di Domenico Vecchioni ci restituisce il ritratto di donne speciali, malgrado ambiguità e zone d’ombra, con una prosa elegante e curata. L’autore non indulge in quell’aneddotica un po’ morbosa che spesso tenta chi affronta argomenti simili.

In controluce, però, emergono anche madri mancate per indole, necessità, caso. Spie temerarie sopraffatte o mortificate dal quotidiano. Donne profondamente sole. Perché la solitudine è l’altra faccia dell’indipendenza e dell’anticonvenzionalità che segnarono le loro vite.

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