“Le spie del Duce” – Domenico Vecchioni


Voto: 4 stelle / 5

Nel saggio “Le spie del Duce” (Edizioni del Capricorno 2020, 168 pp.) Domenico Vecchioni esamina il corpus delle cosiddette polizie di Mussolini e l’ipogeo di intelligence. Ogni Stato totalitario, infatti, è sinonimo di stato di polizia e il fascismo non fece eccezione.

Ringraziamo l’autore per la copia omaggio.

Di Domenico Vecchioni abbiamo recensito “Pablo Escobar. Vita, amori e morte del re della cocaina”, “Le dieci donne spia che hanno fatto la storia”, “Legione straniera. Storia, regole e personaggi”, “Suez. Il canale che ha cambiato la geografia del mondo”, “Lo sbarco in Normandia“.

Trama di Le spie del Duce

Risale al 1925 la svolta da un governo autoritario, ancora parlamentare, a un regime monopartitico che per la propria sopravvivenza deve mantenere consenso e status quo. Perciò il fascismo, come le grandi dittature del Ventesimo secolo, istituisce corpi di polizia deputati a vario titolo a salvaguardare il regime e garantire l’incolumità del duce. Anzi, il fallimento di alcuni attentati contro la sua persona funge da pretesto per un giro di vite alle misure repressive già poste in essere.

A ben vedere il primo corpo di polizia viene approvato dal Parlamento due anni prima. Mussolini deve impedire che le violenze squadriste, culminate a Ferrara nel 1923 con la morte di don Minzoni, compromettano il suo primo governo di coalizione. Inserisce le squadre d’azione nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), un organismo ancipite in qualità di forza armata statale e di partito. Militarmente strutturato svolge funzioni complementari e parallele a quelle di Esercito e Pubblica Sicurezza.

Operazioni extralegali di sorveglianza, rappresaglia, minacce contro l’opposizione vengono affidate alla Ceka del Viminale. È in mano al sulfureo Amerigo Dumini, tra i responsabili del delitto Matteotti la cui ricostruzione mi sembra in linea con quella tratteggiata a suo tempo da Indro Montanelli. Il cortocircuito tra la prima organizzazione istituzionale finalizzata a normalizzare lo squadrismo e la seconda che lo avalla nell’ombra è solo apparente.

Ma è la polizia politica segreta dell’OVRA il ‘capolavoro’ del Ventennio. A cominciare dal terrorismo subliminale del nome, tutt’ora oggetto di dibattito storico. Acronimo o invenzione che sia, possiede un’indubbia carica intimidatoria amplificata dall’indecifrabilità. La sua architrave è l’informazione fiduciaria di delatori prezzolati che sarebbe più icastico chiamare sicofanti. Con un margine di discrezionalità senza precedenti reprime il dissenso, controlla il consenso, svolge un’attività pervasiva di spionaggio e controspionaggio in pace e in guerra.

In assenza di un bilanciamento legale tra riservatezza e raccolta dati, fece ampio uso dell’intercettazione telefonica con un apparato obsoleto ma efficace.

A crearla e dirigerla per molti anni è il pragmatico Arturo Bocchini, così potente da essere soprannominato il Viceduce.

A latere viene costituito il Servizio informazioni militare (SIM), il nostro primo strumento di intelligence. È acclarato il suo coinvolgimento nell’assassinio dei fratelli Rosselli.

Uno dei mezzi di repressione silenziosa del fascismo fu il confino per reati politici, un ibrido tra esilio e prigionia, filiazione diretta del domicilio coatto introdotto dalla legge Pica. La stessa che aveva affidato ai tribunali militari i processi per brigantaggio.

In modo cristallino Domenico Vecchioni ne spiega origini, profilo giuridico, evoluzione, limiti, vantaggi anche propagandistici. E collega la sua specificità restrittiva-punitiva – ben lontana dai campi di concentramento – all’argine di Monarchia e Vaticano che secondo alcuni storici renderebbero ‘imperfetto’ il totalitarismo fascista.

L’outsider e l’infiltrato

Tra i requisiti di selezione per il reclutamento di intelligence il senso dell’umorismo non compare. James Bond a parte, fa eccezione lo scrittore e pubblicista Pitigrilli, nickname di Dino Segre, agente operativo dell’OVRA. Snobbato dagli intellettuali e letto da molti, sforna best seller che scandalizzano i benpensanti. Emilio Lussu lo definì “L’ artista nato spia”. Ad oggi il suo ruolo di delatore è piuttosto controverso. La sua penna salace, caustica e politicamente scorretta è caduta nell’oblio.

Di soft skills ne ha molte Luca Osteria, la migliore spia del regime. Intraprendenza, mimetizzazione, empatia, capacità relazionali e pensiero creativo sono i suoi assi nella manica. Agente infiltrato nelle rete comunista clandestina, riesce a carpire la fiducia di Palmiro Togliatti. Nel secondo dopoguerra si lancia con successo nel controspionaggio internazionale. Privo di addestramento specifico, era capace di giocare su tre tavoli contemporaneamente. E pensare che esordì come marinaio.

Recensione

Da appassionata, mi sento di ribadire il felice connubio tra giornalismo e storia che rende la scrittura agile e documentata. E la competenza dell’autore che affronta senza faziosità argomenti scomodi o rimasti nell’ombra. Segnalo anche un ricco corredo iconografico.

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