“Maigret e il corpo senza testa” – Georges Simenon


Voto: 5 stelle / 5

Numerosi romanzi di Georges Simenon scandagliano il rapporto tra l’uomo e il denaro e gli abissi dell’avidità quando in ballo c’è un testamento. Penso a “Marie la strabica” del 1951 e a “Il testamento Donadieu” del 1937, capolavori assoluti senza il commissario Maigret. Ma c’è un altro abisso altrettanto insondabile. Quello di una figlia unica che rinuncia ad un’eredità da capogiro, pur vivendo in ristrettezze economiche. Accade in “Maigret e il corpo senza testa” del 1955, tradotto e pubblicato in Italia due anni dopo e oggi in edizione Adelphi. Un giallo di atmosfera il cui enigma è celato nelle pieghe di una coppia apparentemente mal assortita.

Di Georges Simenon abbiamo recensito anche “Il dottor Bergelon“, “Il treno“, “Le sorelle Lacroix“. Del ciclo Maigret abbiamo recensito: “Maigret si sbaglia” e “Pietr il Lettone“.

Trama di Maigret e il corpo senza testa

“Quello che non capisco, mio caro Maigret”, disse il notaio Canonge, “quello che proprio non riesco a capire – e, nella mia vita ne ho viste di tutti i colori – è che Aline abbia rifiutato quel denaro che le pioveva dal cielo”.

Aline Calas è la proprietaria di un bistro insieme al marito Omar. Ma andiamo per gradi. Il ritrovamento in un canale parigino delle parti di un cadavere senza testa rende molto complicata l’inchiesta per il nostro commissario. Risalire all’identità di un uomo maturo, basso, un po’ tarchiato e di sana corporatura scomparso nel weekend significa cercare un ago in un pagliaio. Le indagini si concentrano subito sul locale vicino al luogo del macabro ritrovamento, gestito da Aline. Infatti, stando alle sue dichiarazioni, il marito Omar è assente per motivi di lavoro.

Da questo punto in poi è Aline il mattatore. È una donna scialba, che parla con indifferenza delle sue faccende personali. Agli inquirenti dichiara senza mezzi termini di avere un amante e di incontrare occasionalmente altri uomini. Non c’è la sfacciataggine o la provocazione della volgarità, ma un’apatia che incuriosisce il commissario. L’intuito e lo spirito di osservazione lo spingono a pensare che sia proprio lei la chiave del mistero. Maigret scopre che vive in una situazione di solitudine e degrado, “come un animale nella sua tana”, in cui si è imprigionata da sola. Eppure è una figura affascinante, enigmatica che arricchisce la galleria femminile dello scrittore belga. Donne mature o invecchiate anzitempo, sfiorite, piegate dalla vita che mendicano la loro briciola di felicità o vi hanno rinunciato per sempre. Donne votate al suicidio quotidiano della rassegnazione e alla solitudine autodistruttiva. Come dimenticare le protagoniste de “Il cane giallo”, “Tre camere a Manhattan”, “Il treno”?

Recensione

La suspense gravita sul passato di Aline e il marito. Ci imbattiamo ancora una volta nell’umanità di Maigret che non smette di interrogarsi sulla brutalità della vita. Il lettore viene contagiato dall’amarezza del commissario che, malgrado il suo mestiere, non riesce ad abituarsi fino in fondo alla quotidianità del male.

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